Casa è dove stare. Ci sono giorni che tutto, intorno a me, sembra cambiare, giorni che tutto, delle mie cose e percezioni, sembra rimanere uguale, finché il mutamento peserà su queste cose, sul mondo e su me. Gli angoli della mia città, la voce del mare, il canto della sirena, nella nebbia, che dal porto avvisa i marinai, perfino le foglie sui giardini, anno dopo anno, le stesse, eppure diverse, mi fanno pensare al giorno della mutazione. Oggi ho questo da chiederti, poeta: che cosa significa casa per te?
Stefano Sanchini
Finché ho vissuto nella casa che mi ha visto crescere, la casa è stata una stanza dove alla maniera del filosofo Bachelard potevo trovare il riparo alle mie “Rêverie”.
Ogni giorno, da primavera alla fine dell’estate uscivo per andare da solo o accompagnato da qualche amico sulle colline, la sera è della rondine il canto, dove la luce si fa quieta e l’aria profondissima calma. Da qualche anno vivo sulle colline, queste nostre campagne bellissime di macchia mediterranea piccoli orti e uliveti costituiscono un paesaggio di armonioso disordine, nulla a che fare con quei deserti arati campi della monocultura. La casa ha acquistato anche un nuovo significato, quello della condivisione. Vivere con altre persone sotto lo stesso tetto, è come viaggiare, si allargano gli orizzonti della propria esistenza scambiando con altri (a volte di altri paesi) i punti di vista e le proprie esperienze. Perché vivere solo tra la famiglia e lo stato, quando in senso poetico la tribù è il modo più antico e più consono all’uomo di vedere trascorrere il tempo?
nulla sanno gli economisti o gli scienziati
rispetto a quel che sanno i gatti
che frequentano la mia casa,
a quel che ascolta la pianta che tace
o ai pensieri che raccolse il cappello
abbandonato ora nella sala d’attesa
di una stazione o le città
che non dormono quasi mai
nella loro immobilità, non sognano forse
che la natura le venga a trovare
con la semenza delle campagne lontane:
il miracolo del girasole che sboccia
ai margini della strada la strada
che desidera d’essere, di nuovo calpestata
che su di lei germoglino incontri…
allora venga il fenicio con la stella polare
l’algebra dai deserti, la cabala degli esuli
e vengano con la cultura orale i popoli
animisti, ché la natura sola ha un’anima
grande e armoniosa
e non l’uomo con le sue apocalissi…
quel che serve è l’antico coraggio
del pellegrino, l’olfatto del cane
e la pazienza di questo cammino…
[…]
Sì, il viburno un nome triste
con un profumo così dolce …
è tutto in fiore!
Gli ronzano le api attorno
d’accordo tutte sul miele da farsi
stancarsi insieme poi la sera
raccontarsi l’amore il sole
che brucia ma non suda
la torcia rischiara la miniera
non vede, luccicano i minerali
nati e cresciuti nel buio
conosce il verme il loro silenzio
si schiude il seme dal sonno
senza fare rumore, paziente
conosce l’istante preciso
un destino di profumo e colore
donarsi, è l’essenza del fiore
come accogliere lo è per la terra …
(da Corrispondenze ai margini dell’Occidente, Edizioni Effigie, di prossima pubblicazione, pp. 27-28 e pp. 21-22)
stupendo!!