“Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo”.
Cosa potrebbe succedere se un giorno, per una questione di share, un reality arrivasse all’eliminazione fisica dei propri concorrenti? Se al pubblico non bastassero più liti e scandali? Se chiedesse di più?
A queste domande, che già odorano di realtà, risponde Amèlie Nothomb con il suo Acido Solforico.
Nel suo romanzo senza tempo la scrittrice racconta di un mondo dove lo spettatore lascia che la televisione-spazzatura uccida la sua anima, portando il voyeurismo alle estreme conseguenze.
Acido Solforico è un libro che lascia interdetti, disgustati e tristi. Il reality ha un’ambientazione già di per sé forte: un campo di concentramento, dove gli spettatori prendono il posto dei Kapò e decidono la sorte dei partecipanti. La storia della protagonista è meno esaltante della violenta metafora scelta, ma ottiene l’effetto desiderato: la riflessione.
L’esperienza della trasmissione è descritta in modo forte, ma ancora più graffiante è la descrizione del pubblico televisivo dello show. L’asciutta scrittura della Nothomb si adatta perfettamente al contesto e crea un effetto poco romanzesco e molto reale.
Acido Solforico va letto ricordando la continua spettacolarizzazione televisiva del dolore e il fatto che i vari Grandi Fratelli e Isole dei Famosi si spingono ogni anno un po’ oltre l’umana decenza. Questo perché il pubblico ha bisogno di partecipare allo spettacolo e, poiché questa partecipazione rischia di consumarsi rapidamente, ha bisogno di stimoli sempre più forti, che lo eccitino, che lo sorprendano fino a coinvolgerlo direttamente.
Amèlie Nothomb è stata molto criticata per l’aver messo sullo stesso piano reality e shoah. Tale critica è condivisibile fino a un certo punto. Le metafore estreme fanno meditare il lettore sulla pericolosità di questo tipo di televisione e, più in generale, sul modo di guardare la televisione.
La colpevolezza del pubblico e la sua diretta responsabilità per il successo di queste trasmissioni sono elementi che non possono essere risolti dalla definizione “è un modo di svagarmi”.
D’altronde, non è abbastanza grave quello che già succede?
Qual è la distrazione che deriva dal rimanere incollati a vedere persone che litigano? Ad appassionarsi a omicidi che riguardano giovani ragazze o bambine? È il male che attrae? La cattiveria umana?
Sono questioni sulle quali è bene fermarsi a riflettere e domandarsi: succederà?