Ad inizio agosto sono partito per l’India, prima destinazione Delhi, per un soggiorno che avrebbe condensato in un breve lasso di tempo un viaggio di lavoro e qualche giorno di vacanza. Già al mio arrivo all’aeroporto Indira Gandhi, attraverso gli altoparlanti della enorme struttura, non ho potuto fare a meno di essere investito dalle sonorità tipiche dell’India e confesso che mi sono sentito abbastanza eccitato all’idea che durante il mio soggiorno avrei potuto scoprire qualche interessante novità a livello musicale.
Una volta arrivato all’uscita dell’aeroporto uno strangolatore thug mi assale alle spalle e tenta di soffocarmi con il suo laccio mortale. Penso, in una frazione di secondo, che dunque questi inquietanti personaggi, i guerrieri thug, incontrati molti anni prima sulle strisce di Tex, esistano davvero e popolino l’India anche ai giorni nostri. In realtà sono soltanto vittima della suggestione e dell’umidità che sfiora il 95% e oggi toglie letteralmente il fiato. Alzo gli occhi al cielo e dense nubi cariche di pioggia a causa dei monsoni mi corrono incontro. La mia prima corsa in taxi attraverso il traffico caotico di Delhi è salutata dalla pioggia battente che rende tutto il paesaggio ancora più spettrale. Sono soltanto le 6 di mattina e la città è già quasi completamente in moto, nonostante il clima avverso e l’aria soffocante.
Nei giorni successivi al mio arrivo cerco di farmi rapire dalla musica e dai suoni che si odono nelle strade, all’interno dei templi, nei supermercati dove mi rifornisco del mio prezioso succo di mela. Nei pressi dell’hotel Ajanta, ove pernotto, nel quartiere di Ram Nagar, alle 6 di mattina un altoparlante comincia a diffondere musica a volume moderato ma ben udibile. La sveglia del cellulare puntata alle ore 08.00 non serve, posso comodante disattivarla.
Una musica che pare un canto di cherubini se lo si paragona all’incredibile frastuono che migliaia di mezzi provocano con i loro clacsons. Un tassista, un paio di giorni prima, mi aveva parlato con orgoglio del cricket, il loro sport nazionale. Mi aveva mentito, ne ho le prove. Ai campionati mondiali di guida spericolata senza regole e suono incessante del clacson, i nostri amici indiani non avrebbero rivali. Questo è il vero sport nazionale, quello che tutti indistintamente praticano almeno una ventina d’ore al giorno.
Ma nonostante sia già trascorsa una buona settimana la musica non riesce a scalfire la mia iniziale diffidenza. Nè quella tipica e tradizionale che odo in strada e spesso accompagna cerimonie o festeggiamenti religiosi, ma neppure quella moderna che accompagna le scene delle produzioni di Bollywood e che inonda la mia stanza una volta che ho sintonizzato il televisore sulle frequenze di MTV India. Arriva così, dopo giornate caratterizzate da improvvisi acquazzoni e umide schiarite, il fatidico 15 Agosto, festa dell’indipendenza Indiana. La città di Varanasi, ove mi trovo, è addobbata a festa con i tre colori della “tiranga”: il giallo zafferano, il bianco e il verde. Tutto mi appare più ordinato ed accettabile: il paesaggio, il clima, l’abbigliamento dei bambini e perfino il traffico. Pure la musica che viene diffusa da migliaia di speakers invisibili mi pare finalmente adatta alla situazione. Soprattutto quando, alternandosi ad un discorso commemorativo, l’ipnotico incedere del qawwali prende possesso del mio corpo e comincio a muovermi come le scimmie del tempio che ho appena visitato. Anche la voce è amica, finalmente una luce a rischiarare il buco nero dentro al quale ho vissuto per tutti questi giorni.
E’ quella di Nusrat Fateh Ali Khan, universalmente conosciuto come “emperor of qawwali”, e cioè della musica religiosa tipica del sufismo, la tradizione mistica all’interno della religione Islamica. Tre, quattro brani e ne arriva un quinto. “Ma Nusrat non era pakistano di origine?” mi domando piacevolmente incredulo. La risposta sta nel fatto che nella sua breve, ma intensa carriera (fonti ufficiose gli attribuiscono la pubblicazione di 125 dischi) Nusrat ha cantato anche in hindi, soprattutto, mi immagino, canzoni adatte a commemorare una festa indiana così importante. E quanto a commemorazioni il buon Nusrat doveva avere una certa esperienza; alla morte del padre, nel 1964, lui appena sedicenne, aveva esordito come cantante esibendosi durante la cerimonia funebre definita “chehlum”.
Musicista, cantante (possedeva una incredibile estensione vocale di 6 ottave), strumentista e soprattutto Qawwal, aveva conosciuto la fama e la celebrità anche al di là dei suoi confini grazie alla Real World di Peter Gabriel, etichetta che negli anni novanta si poneva come intento la riscoperta e la diffusione su scala mondiale dei musicisti di musica etnica allora quasi del tutto sconosciuti. L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese, Dead Man Walking di Tim Robbins, Natural Born Killers di Stone, sono alcuni titoli che vedono presente Nusrat come coautore delle rispettive colonne sonore. Il rinnovato interesse verso la musica qawwali e lo straordinario carisma di questo personaggio valgono al suo album “Intoxicated Spirit”, del 1997, la momination ai Grammy come album folk dell’anno.
Il 1998 vedrà poi la sua definitiva consacrazione pure ad occidente con l’enorme successo del remix di una sua storica hit “Dam Mast Qalandar”, ad opera degli infaticabili Massive Attack, uscita per Real World con il titolo di “Mustt Mustt” Peccato che Nusrat non abbia potuto raccogliere i frutti di quanto stava in quegli anni dorati seminando. L’11 di Agosto del 1994 fu stroncato da un arresto cardiaco a Londra, mentre era diretto a Los Angeles per subire un trapianto di un rene. Da tempo malato di fegato, pare a causa di uno smodato uso di alcolici, non oltrepassò la soglia dei 49 anni, ponendo fine in maniera autonoma, ad una carriera prolifica e piena di successi. “Dam mast qalandar”, il brano che in quel giorno di Ferragosto ebbe il potere di risvegliare la mia coscienza musicale e i muscoli delle gambe quasi del tutto atrofizzati, mantiene ancora, nonostante gli innumerevoli ascolti, la forza, la vitalità e la componente lirico-ipnotica del qawwali. Felice di averti ritrovato e di nuovo riscoperto Nusrat Fateh Ali Khan, unico, solo ed indiscusso imperatore del Qawwali.
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