Scusate per la citazione nel titolo di una hit firmata 883. E’ comunque un modo per adeguarmi al (basso) livello dei film di cui mi occupo oggi.
Andiamo con ordine; in principio è stato Giù al Nord, commedia francese di pochi anni fa che, ironizzando sulle differenze culturali e linguistiche fra Sud e Nord della Francia, divenne un successo clamoroso (miglior incasso di tutti i tempi in patria, battuto solo ora da Untouchables su cui torneremo). In Italia non ci pensarono due volte e qualcuno capì che, con opportuni accorgimenti, la vicenda si prestava bene per sfondare anche nel nostro Paese. E così, dietro lauto pagamento dei diritti, è arrivato Benvenuti al Sud con il lumbard Claudio Bisio che si ritrova suo malgrado in “terronia” e lì scopre che non tutto è come pensava. I produttori non hanno finito di contare i soldi (oltre 30 i milioni di euro incassati) che hanno subito messo in cantiere il seguito e senza spremere troppo le meningi hanno fatto uscire ieri nelle sale Benvenuti al Nord.
Non ci vuole la sfera di cristallo per capire che anche in questo caso ci si ritroverà di fronte a una commedia innocua che prendendo spunto da qualche luogo comune (l’efficienza padana, il clima nebbioso, lo stress e cose così) assolve solo al compitino di far trascorrere 90 minuti di serenità al pubblico italiota. Successo annunciato e assicurato. L’unica cosa triste è vedere il pubblico che, uscendo dalla sala, pensa di aver assistito anche un saggio socio-antropologico di rara finezza; a questo punto è quasi meglio la volgarità dei cinepanettoni che difficilmente vengono scambiate per opere socialmente rilevanti.
Come se non bastasse ci si sono messi anche i tedeschi che hanno sfornato Almanya – La mia famiglia va in Germania (ma attenzione che il titolo originale è Willkommen in Deutschland…). Un quasi remake apocrifo (perchè i tedeschi non li freghi e così hanno risparmiato sui diritti) in cui lo “scontro” fra culture è quello fra una famiglia di emigrati turchi e la società che li accoglie con tanto di viaggio d’andata e ritorno in patria; ma niente paura perchè nessuno (o quasi) si fa male ed anche qui le gag sono al minimo e si limitano alle solite incomprensioni linguistiche e a qualche pregiudizio ben radicato nelle menti. E anche questo in patria è stato un successo clamoroso che piano piano sta facendo breccia anche da noi. L’aggravante nella fattispecie è che gli autori hanno anche provato a dar al soggetto una spolverata di autorialità, mescolando finzione e realtà (si cita e compare Angela Merkel), alternando piani temporali e flashback un po’ a caso, aggiungendo inutili parentesi surreali, inserendo qualche dramma esistenziale (tipo una gravidanza inattesa) e, per non far mancare nulla sul lato drammatico, facendoci scappare anche il morto. Il risultato non cambia: altro film di modestia assoluta, gradevole e nulla più, dalle unghie spuntate a assolutamente inefficace nel raccontare qualsivoglia realtà del fenomeno migratorio. Anche qui c’è il trionfo del politicamente corretto e l’annegamento di tutti i contrasti in una melassa finale.
Certo, dalla commedia non si può pretendere sempre un’analisi approfondita degli argomenti toccati, ma è lecito e doveroso pretendere di più di questa nuova ondata di film all’acqua di rose, consolatori, buonisti e sostanzialmente inadeguati a raccontare i Tempi moderni… ecco, quello sì un capolavoro di comicità, ricco di invenzioni visive, vere emozioni e in cui il lieto fine non sembrava affatto appiccicato con lo sputo. In attesa che torni un Charlie Chaplin (ma anche un Monicelli, un Salce, un Ferreri, etc…), andiamo in sala e accontentiamoci di Bisio e compagnia bella, forse ce li meritiamo…