Che cosa penserebbe di noi un abitante delle isole di Samoa, che per la prima volta in vita sua si trovasse a viaggiare per l’Europa? Per prima cosa comincerebbe con il chiamarci “Papalagi” e subito dopo aggiungerebbe:
«Il Papalagi si preoccupa costantemente di ricoprire bene la sua carne. E possiede una canoa per il piede sinistro e per il piede destro, che rende i suoi piedi morti e li fa puzzare.»
Papalagi, Tuiavii di Tiavea, 73 pg, 1 ora e 30 minuti
All’inizio del secolo passato il grande capo del villaggio di Tiavea nell’isola di Upolu del gruppo delle isole di Samoa, intraprese un viaggio nella lontana Europa, conoscendone uno dopo l’altro tutti gli Stati, gli usi e i costumi. Ritornato, scrisse le sue considerazioni su ciò che aveva visto e più tardi affidò i suoi appunti a Erich Scheurmann, pittore e scrittore tedesco, rifugiatosi in Polinesia per sfuggire alla prima guerra mondiale, divenuto suo grande amico e confidente, che pubblicò nel 1920 questi appunti sotto forma di libro.
«Il Papalagi abita come la conchiglia di mare in un guscio sicuro. Vive in mezzo alle pietre, come la scolopendra tra le fessure della lava. Le pietre sono tutte intorno a lui, al suo fianco e sopra di lui. La sua capanna è simile a un vero e proprio cassone di pietra. Un cassone con molti ripiani tutti sforacchiati… si può capire solo con difficoltà come faccia lì una persona a non morire, come non diventi, per il desiderio, un uccello, come non gli crescano le ali, in modo che possa alzarsi in volo e andare dove ci sono l’aria e il sole.»
Trattato etnologico “capovolto” come non abbiamo mai letto. Era necessario lo sguardo di un uomo ancora strettamente legato alla natura per farci vedere in modo disincantato, esilarante e atroce le nostre perversioni e i nostri falsi miti. Abiti, abitazioni, denaro, industria, lavoro, cinema e giornali, il grande capo Tuiavii ha parole per ogni cosa che circonda il nostro mesto sopravvivere quotidiano. Compreso il tempo:
«Il Papalagi è sempre scontento del tempo che ha a disposizione e accusa il Grande Spirito di non avergliene dato di più. Il tempo ci sarebbe, ma lui anche con la migliore volontà non riesce a vederlo. Parla di mille cose che gli rubano il tempo, si piega imbronciato e scontento su un lavoro che non ha voglia di fare, che non gli dà nessuna gioia e al quale non lo obbliga nessuno tranne lui stesso.»
P.S. Qualcuno vi dirà che il libro è un falso, che in realtà è stato scritto dallo stesso Scheurmann. Voi non prestate attenzione a queste dicerie, il grande capo Tuiavii esiste, e vive proprio dentro di noi, basta solo ascoltarlo di tanto in tanto per scoprirlo.
Federico Tamburini
pubblicato per la prima volta su finzionimagazine.it