Ammirazione.
La senti durante la proiezione di Una separazione e poi – in dosi via via più massicce – dopo l’uscita e nei giorni successivi. Perché sei costretto a ripensarci tanti sono i livelli che tocca e la delicatezza – su alcuni aspetti – e forza – su altri – con cui lo fa.
Essendo diventato con l’età uno spettatore poco paziente, dopo una mezz’ora ho temuto che sarebbe finita come quella volta che portai un amico a vedere Il sapore della ciliegia che nel ’97 regalò a Kiarostami la Palma d’Oro a Cannes e a me fece rischiare l’incolumità (ci annoiammo al punto da andarcene approfittando dell’intervallo).
Piano piano, in questo caso, invece che l’approssimarsi della noia, ti rendi conto della raffinatezza della costruzione messa in opera da Asghar Farhadi che oltre che regista del film ne è anche sceneggiatore e produttore.
Su un piano c’è una storia scritta molto bene, ricca di conflitti interni a due famiglie di ceto sociale diverso, entrambe con una figlia piccola. Nel contempo le due famiglie entreranno in conflitto fra loro nel quadro di una trama mai banale e sempre verosimile.
Si delinea una sottile denuncia dell’egoismo dei grandi nei confronti dei piccoli. Dei grandi incapaci di rinunciare ai loro principi e narcisismi che impediscono loro di comporre i conflitti ed evitare danni e inutili sofferenze agli innocenti.
C’è una scena brevissima e memorabile in cui, in prossimità del finale, le due famiglie cercano senza trovarla una conciliazione in presenza di saggi e parenti appositamente convocati. In questa cornice il regista va a pizzicare gli sguardi delle due bimbe che si guardano mute ma dentro di te senti che si dicono: “Cosa abbiamo fatto di male per meritare questo?”. Sono tre secondi, ma che cinema…
Su un altro piano, quello della metafora, la raffinatezza raggiunge il sublime quando ti accorgi che il film è iraniano, cioè viene dal paese in cui il dittatore Aḥmadinejād – eletto, ma con elezioni truffa – sta conducendo il paese verso un futuro irto di incognite con una programma di armamento nucleare dichiaratamente predisposto per “annullare Israele dalla carta geografica”, non conosco modi più ultimativi di evocare guai a un livello da professionisti.
Con questo espediente Farhadi ha aggirato magistralmente la ferrea censura del regime.
Un fior di resistente.
Ammirazione.
Pereira