Ci si può ancora commuovere, dopo tutto. Come quando ti organizzano una festa a sorpresa, e dopo il buio, e tutto quel che serve alla causa, tra persone che si stringono intorno a te, vedi tuo padre. Luminoso e immancabilmente malinconico.
In libreria mi ritrovo tra le mani un libricino. Lo apro:

«A mio padre
e a tutti gli altri padri
che hanno pianto durante la guerra»

TERRA E CENERE, Atiq Rahimi, 81p – 2 ore e 10 minuti
Il dolore o si trasforma in lacrime e scende giù dagli occhi, o diviene spada e ti arriva sulla lingua. Oppure talvolta si trasforma in una bomba all’interno del cuore. In alcune persone il dolore si fa somma di tutti e tre. Quando si è con persone care, diventa lacrime, quando si rimane soli, è una bomba pronta a esplodere, quando si è in mezzo alla gente, il dolore diventa una lama tagliente.
E il tuo dolore Dastghír? Tu che hai visto i miliziani del governo saccheggiare e depredare le case del tuo villaggio, mentre eri al mulino, e che hai sentito l’esplosione delle bombe, e seppellito tua moglie e tua nuora e uno dei due tuoi figli. Il tuo dolore, che ancora non si è sciolto, con chi lo hai condiviso? Con chi hai vissuto il tuo lutto? A te è rimasto solo questo nipote che non può ascoltare più le tue parole – le parole non ascoltate non sono parole: sono lacrime. Il piccolo Yassín, non sa di esser diventato sordo; i russi hanno rubato tutti i suoni del mondo, il suono delle parole, il rumore delle cose.
E ora sei qui, lontano da Polkhomrí, in attesa di un passaggio per la miniera, dove lavora tuo figlio, ignaro di tutto; vai a piantare una lama nel suo cuore.
Polkhomrí, Afghanistan. Lo scenario è un paesaggio fisico ridotto all’osso, rocce arroventate dal sole, un ponte sopra un fiume in secca, un guardiano addormentato nella sua guardiola, un negoziante filosofo nel suo bugigattolo. La polvere che sporca e soffoca quest’angolo desolato del pianeta non può cancellare l’angoscia di un vecchio, né far tacere gli interrogativi di un bambino.
L’invasione sovietica cominciò il 24 dicembre 1979, terminò dopo quasi dieci anni, il 2 febbraio 1989; un milione e mezzo di afgani uccisi, tre milioni di mutilati e disabili, cinque milioni di profughi.
Cerco la parola Polkromrí su google. A più di vent’anni dalla storia qui narrata, l’unica pagina che si apre su Polkromrí è del “Global security-military-world-Afghanistan”: dal 30 settembre 2006 è sotto il comando dei militari ungheresi, che stanno portando avanti cinquantacinque progetti di sviluppo.

Federico Tamburini

pubblicato per la prima volta su finzionimagazine.it

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