Combattere e denunciare la precarietà del mondo del lavoro usando uno strumento che resta per sempre: un libro.

E’ questa l’idea dei 15 giovani marchigiani che hanno dato vita a Lavoricidi, un romanzo-progetto corale che non passa inosservato.

Lavoricidi è un libro che rimane in mente perché usa la forma del romanzo per raccontare quello che già leggiamo ogni giorno nei giornali. Ma è soprattutto un libro che rimane nelle nostre librerie personali, come un monito che ci ricorda qual è il confine tra giusto e sbagliato e cosa significa far valere la propria dignità.

Lavoricidi è un libro speciale per tre motivi: per il titolo perfetto, perché marchigiano (quindi molto vicino a noi) e perché fa luce su un problema fondamentale in Italia: il mondo del lavoro.

Come Amelie Nothomb ha raccontato in “Stupore e Tremori” i lati oscuri del mondo del lavoro giapponese, così gli autori di Lavoricidi ci narrano storie che riflettono la situazione italiana in maniera nitida e realistica.

Da chi deve alleggerire il suo curriculum per poter ottenere un posto fisso come commessa a una serie di colloqui che culminano in proposte offensive, fino ad arrivare all’ultimo racconto, in cui la precarietà è emblema della condizione umana.

Ogni situazione raccontata trasuda ansia e provoca rabbia. E questi non sono solo i sentimenti provati dai protagonisti delle storie, ma sono anche quelli del lettore. Rimanere emotivamente immobili di fronte alle pagine di Lavoricidi è infatti impossibile.

Leggere questo libro è faticoso non perché mostra qualcosa di nuovo, di non scoperto, ma perché ti affezioni a ognuno dei quindici personaggi. E vorresti essere lì assieme a loro a sbattere un pugno in faccia a certi tipi di responsabili delle risorse umane. E vorresti essere lì a gridare con loro “non calpestate la mia dignità”.

Nessuno di loro sa di essere schiavo” dice la quarta di copertina del libro. “Nessuno di loro sa essere schiavo”, oserei aggiungere.

Tutelare la propria dignità è infatti il messaggio positivo che emerge dalle pagine di Lavoricidi, un messaggio che non deve essere mai precario.

 

Dagmara Bastianelli

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