Perepepè lascia una scia dietro di sè, una scia verde, frutto di un felice incontro fra questa manifestazione alla sua seconda edizione e un gruppo di ‘architetti paesaggisti’, ognuno a suo modo interessato alla reinterpretazione delle città attraverso una lettura diversa e propositiva dei luoghi marginali ad opera di addetti ai lavori e con la partecipazione di cittadini comuni. E siccome Perepepè vuol dire ‘PEREira PEr PEsaro’ abbiamo pensato di dedicare uno spazio su Radio Pereira per riflettere su abitanti e città, recupero di spazi abbandonati e senso di responsabilità, di appartenenza e condivisione.
Ci proponiamo quindi di ospitare contributi di forma e natura diversa su questo tema cominciando proprio con una ‘traduzione’ in forma di post dei due interventi fatti a Perepepè dagli architetti Gabbianelli e Uguccioni.

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INNESTI VEGETALI. Modificazioni del paesaggio metropolitano.

“Sono attratto dai luoghi che danno l’impressione di essere abbandonati. Amo gli spazi vuoti, una terra inesplorata, come una radura dissodata. Esplorare l’Alaska o la Terra del Fuoco non potrebbe essere più avventuroso che scoprire quegli spazi nella città. […] Gli spazi che presentano degli ostacoli m’interessano molto più di quelli che sono antropizzati. All’interno della città, io preferisco i ‘terrains vagues’, risentire di un ostacolo entro un paesaggio, l’atto di addomesticarlo. […] Si tratta di geografie fantastiche. Questi nuovi spazi urbani, (ad esempio) situati sotto i nodi autostradali, sono come nuove zone di giungla che tornano a crearsi”. (Wim Wenders, da Paolo Federico Colusso, Wim Wenders. Paesaggi luoghi città, testo&immagini, 1998)

Nella vastità del territorio urbanizzato vi sono spazi vuoti, aree smarginate tra la città e la campagna, spazi interstiziali tra gli edifici e l’infrastruttura, aree produttive ormai abbandonate; si tratta di una moltitudine di spazi residuali che hanno caratteristiche sempre differenti e che sono difficilmente definibili.

Dal dopoguerra ad oggi la città ha iniziato ad espandersi in modo incontrollato perdendo il suo rapporto con il terreno, la topografia, in un rapporto di assoluta indifferenza con il suolo; “ci sono nel mondo agglomerati urbani che solo per convenzione si continuano a chiamare città. Non c’è più alcunché di veramente urbano in uno spazio che è divorato dall’infrastruttura e comunica un crescente senso di allarme: la vita nella città somiglia a una perpetua battaglia contro il tempo scandita dalle luci violente, che di notte animano le tante città ricavate nella magmatica e indistinta massa edificata”[1. In Italia, solo nell’ultimo decennio del duemila, le costruzioni hanno consumato circa duemilioniottocento ettari di suolo, per lo più sottratti all’agricoltura. La domanda di alloggi non giustifica assolutamente questo dato poiché il nostro paese sembra essere il primo in Europa per disponibilità di abitazioni, su venti milioni di alloggi, il venti per cento non sono occupati [2].

Durante questo inarrestabile processo di consumo di suolo “la città produce tanti più residui quanto più il suo tessuto è rado. I residui sono scarsi e piccoli nel cuore delle città, vasti e numerosi in periferia” [3]; gli spazi residuali sono qui considerati come un elemento imprescindibile dei processi di trasformazione della città.
La loro risignificazione e rifunzionalizzazione costituisce una problematica per il progetto dello spazio aperto. “È solo alla fine del secolo che una maggiore attenzione per i problemi ambientali, come le più numerose e dettagliate descrizioni dei territori della porosità e della dispersione, portano ad osservare questi fenomeni con occhi nuovi, a concepire porosità e dispersione anche come occasione per costruire una nuova forma urbana e sociale nella quale per molti versi si rappresenti un nuovo rapporto con la natura e l’alterità del ventesimo secolo rispetto al passato”[4].

Nel 1995, in occasione della conferenza della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), viene sottoscritto, da parte di 160 paesi, il “protocollo di Kyoto”. Il trattato internazionale, entrato in vigore nel 2005, prevede l’obbligo da parte dei paesi industrializzati di operare una diminuzione dell’emissione di elementi inquinanti (biossido di carbonio e altri gas serra) attraverso meccanismi flessibili.

Tali eventi testimoniano la preoccupazione e la presa di coscienza, a livello planetario, della necessità di conciliare sviluppo economico e risorse ambientali.
Questo rinnovato interesse all’ambiente ha spinto numerose aziende, enti e fondazioni a incrementare gli investimenti verso la ricerca di tecnologie più sostenibili, consapevoli della necessità di trovare un’alternativa agli attuali processi produttivi. Se le effettive applicazioni di nuove tecnologie ecologiche fanno fatica ad essere applicate in larga scala, una massiccia campagna d’informazione promossa da numerose associazioni ambientaliste e non, hanno prodotto una maggiore sensibilizzazione nella popolazione. Inoltre i cittadini stanno modificando i propri stili di vita operando scelte che vanno verso una maggiore attenzione ai problemi ambientali. Proprio nel contesto di questa rinnovata sensibilizzazione alle questioni ambientali, si ipotizza un nuovo utilizzo degli spazi residuali che attraverso l’utilizzo di materiali vegetali diventano spazi strutturanti la città, spazi che creano un nuovo equilibrio tra pieni e “vuoti” (vegetali), ma anche spazi che offrono ai cittadini la possibilità di ritrovare una vicinanza con i ritmi della natura, distanti dalla frenesia delle pratiche consumistiche. In tutta Europa e in buona parte dei paesi occidentali, sono presenti esempi di riciclo di spazi abbandonati attraverso gli “innesti vegetali”: dai parchi Citroen e Villette a Parigi, progetti precursori di questo tipo di trasformazioni che da aree produttivi sono diventati parchi urbani, al recente parco Dora a Torino, vi sono numerosi esempi di come il paesaggio metropolitano possa essere positivamente trasformato partendo dai suoi “residui”.

arch. Alessandro Gabbianelli
www.algastudio.eu
http://spaziresiduali.blogspot.it

1 Purini Franco, Dopo la città, il paesaggio, in Petranzan M., Neri G. (a cura di), La città uguale, Il Poligrafo, Padova, 2005
2 Dati Eurostat
3 Clement Gilles, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2007
4 Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 39

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