Ogni lunedì leggiamo, analizziamo, commentiamo i fatti di cronaca e i grandi temi dell’attualità politica e sociale con un “editoriale”, o meglio una “distorsione”, facendo parlare una canzone, un autore o un album.
Proviamo a pensare al dopo, senza piangerci addosso. Il terremoto in Emilia ha colpito duramente, inaspettato come ogni calamità, che non avvertono. Già a L’Aquila ci fu la polemica di chi, come Giampaolo Giuliani, uno scienziato non riconosciuto dalla comunità ufficiale, sosteneva che i sommovimenti della Terra si possono prevedere “6-24 ore prima che avvengano” e che quindi il suo allarme, lanciato sulle emissioni di gas radon nel sottosuolo, avrebbe salvato nel 2009 quelle 300 persone. Giuliani, lo ha ripetuto da Santoro, aveva lanciato un ulteriore avviso per un altro sisma, ma le sua attrezzature limitate non lo avevano potuto situare in una zona precisa. A Giuliani rispondono in blocco gli scienziati “ufficiali”: il terremoto non avverte e anche le sequenze successive, quelle che popolarmente chiamiamo sciame sismico, non sono sempre né quantificabili né databili. Ma a noi questa polemica stuzzica poco: la natura si ribella ai mali che gli uomini le fanno, alla nostra provocazione, lo abbiamo assodato, in un Paese, questa Italia bella e fragile, dove il dissesto iderogeoligo è da vertigine. Semmai il vero allarme sono le costruzioni. Lì sì, se ci sono state omissioni, errori, risparmi nocivi alla sicurezza, bisogna colpire duro. Come per la Casa dello studente in Abruzzo, si rimane basiti di fronte allo sbriciolamento dei capannoni industriali nelle piane ferraresi e modenesi. Il conto delle vittime, pur sempre alto, 24, tiene conto principalmente di operai che durante le due scosse più terribili, l’alba del 20 maggio e la mattina del 29, stavano lavorando, ma i danni sono uniformi a bistrattare il tessuto sociale, con interi Comuni di sfollati e gente che non riavrà mai la sua casa, e quello economico: aziende biomedicali e metalmeccaniche messe in ginocchio, ceramiche che non esistono più, aziende agricole di coltivatori disperati, i grandi prodotti del territorio, soprattutto il parmigiano reggiano, che hanno perso intere stagioni.
Piangere sul latte versato non è degli emiliani, di una gente fiera e orgogliosa della sua terra, che la considera la migliore di tutte le terre possibili. E’ chiaro che la polemica esiste, che ci vorrebebro subito più soldi, che non basta non fare pagare l’Imu, ma è anche vero che nessuno vuole scappare, delocalizzare le aziende e chissà quando rivederle. Tutti insieme si può fare, un popolo unito non sarà mai sconfitto, neppure dal cataclisma, neppure dal terremoto più oltraggioso che potesse verificarsi, che ha tentato di cancellare il concetto di comunità: proprio quello, salvare il campanile come simbolo della comunità, salverà l’Emilia e sarà la spinta per tornare a essere quelli di prima ricostruendo pietra su pietra, come ha fatto il Friuli, le case, le chiese, le piazze, le industrie, irrigando di nuovo i campi, sfruttando i trattori giunti da qualche cascinale rimasto in piedi per sostuituire quelli divenuti un tutt’uno con le macerie. I danni sono forti, lo choc è enorme, domani non sarà ancora un altro giorno, ma dopodomani magari sì, lasciando fare il suo corso alla magistratura per quello che le compete. Ma l’aiuto non deve venire dai magistrati, l’aiuto deve essere un urlo forte a convicnere le istituzioni, un coro per dimostrare che riprendere a combattere il vai e vai della vita non solo è necessario, ma ora più che mai imprenscindibile. L’Emilia ce la farà, a prescindere da tutto.
E proprio “El pueblo unido jamas serà vencido”, nella versione degli Inti Illimani, vuole essere un inno alla volontà della gente per ricostruire, non nella sua forma politica in questo caso, anche se ovviamente lo è, ma soprattutto in quella sociale. La rivoluzione della comunità.
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Il popolo unito non sarà mai vinto!
In piedi, cantiamo, che trionferemo,/ avanzano le bandiere dell’unità/ e tu verrai a marciare al mio fianco/ così vedrai il tuo canto e la tua bandiera fiorire.
La luce di un’alba rossa/ annuncia ormai la vita che verrà.
In piedi, marciamo, che il popolo trionferà;/ sarà migliore la vita che verrà.
Conquistiamo la nostra felicità;/ in un clamore, mille voci di lotta si alzeranno;/ diranno canzoni di libertà.
Con decisione la patria vincerà.
E ora il popolo che si alza nella lotta, con voce di gigante grida: avanti!
Il popolo unito non sarà mai vinto!
La patria sta forgiando l’unità; da nord e sud si mobiliterà,/ dalle saline ardenti e minerali, al bosco australe, uniti nella lotta e nel lavoro,/ andranno, la patria copriranno.
Il loro passo ormai annuncia l’avvenire.
In piedi, cantiamo, che il popolo trionferà.
Milioni ora impongono la verità;/ sono di acciaio, ardente battaglione, le loro mani portano la giustizia e la ragione.
Donna, con fuoco e valore, tu sei qui insieme al lavoratore.
E ora il popolo che si alza nella lotta, con voce di gigante grida: avanti!
Il popolo unito non sarà mai vinto!
Riccardo Iannello
Il prossimo appuntamento con Distorsioni sarà lunedì 11 Giugno
Non amo tornare su argomenti che considero chiusi, il mio essere prolissa tante volte è in funzione di questo: preferisco spendere due parole in più per un “buona la prima” e non lasciare spazio all’equivoco, che due in meno e creare fraintendimenti.
E poi, se si tratta di carta è un conto, ma i pixel non costano niente, quindi…
Approfitto ancora una volta di questo bellissimo mezzo che è Radio Pereira, dove ogni lettore dice la sua (mica come i giornali di carta stampata dove si “subisce” passivamente!), come in quell’idea di democrazia diretta e partecipata che sogno per il mio paese, e rispondo a Federico, da cui mi sento tirata in ballo di nuovo.
Anche a me è piaciuto tanto questo post, davvero, non stavo scherzando quando ho fatto i complimenti: trovo che ci voglia una maestria non comune per girare tanto attorno ad un argomento senza affrontarlo, sapienza che viene probabilmente da un grande talento innato oltre che da anni di esperienza.
Personalmente adoro COME scrive Riccardo Iannello, non so che darei per riuscire a scrivere come lui: la sua prosa è scorrevole, mai intaccata da incisi, se non quando strettamente necessario (io non ne posso fare a meno! Eheheh!), pulita, scivola su una punteggiatura leggera e ben calibrata. Riesce ad usare termini desueti ed efficaci, i più pertinenti nel descrivere quello che vuole dire, ma allo stesso tempo resta nel linguaggio della gente comune: chiunque è in grado di comprenderlo e difficilmente ci si distrae dalla lettura, peraltro non disturbata da ripetizioni di parole ( non ne fa mai, a meno che non siano cercate). Mentre i suoi toni sono umili, anche quando rammenta gli amici famosi, non mostra mai l’arroganza di “chi sa”.
Come vedi sono lettrice attenta, per questo mi sono permessa di fare quella che ritengo una “critica costruttiva”.
Dovendo “per forza” affrontare l’argomento terremoto, ritengo che ci fossero altri modi per farlo.
A maggior ragione se dici che l’autore abita in Emilia Romagna.
Rifacendomi al mio precedente commento, scarto immediatamente l’ “informazione” nuda e cruda, che è quella che Iannello tratta, penso, sulle pagine del quotidiano per cui lavora, usando Ansa e agenzie varie, e la “disinformazione”, per ovvi motivi.
La “controinformazione”, visto che l’autore, abitando in zona, ha una visione non filtrata della situazione, sarebbe stata l’ideale: quello che gli organi ufficiali non dicono. Per esempio se è vero che acquistare il parmigiano aiuta la popolazione, se i soldi degli sms arrivano davvero, se persiste la situazione di emergenza che si vede dal tg.
Oppure si poteva optare per una “critica costruttiva”: indicare cosa devono chiedere i terremotati alle istituzioni, per esempio, a parte l’esonero dal ticket sanitario e dall’ Imu ( diventare regione a statuto speciale per qualche anno? Chiedere a Roma di rinunciare alla parte del Pil che viene da Reggio Emilia in su e da Bologna in giù?).
E chiudere alcuni punti che restano aperti, anzi, forse si poteva optare su questi per approfondire un argomento che viene solo “sfiorato”, come un volo d’aereo che ispeziona i luoghi, lontani lontani, sotto. In un punto si parla della “natura che si ribella ai nostri mali”: è forse per sostenere la tesi dei danni causati dalle trivellazioni per il “gas Rivara”? E perché e come gli emiliani ce la faranno se saranno un popolo unito? Forse a l’Aquila non lo sono stati?
So che vado a cercare il pelo nell’uovo e che da un editoriale ci si può aspettare il tutto e il niente.
Ma io parto da un’idea: quella che prima di iniziare a scrivere qualcosa bisogna chiedersi il motivo per cui lo si fa.
Il perché è la chiave.
In base a questo, consentimi di dirti in questa sede, Federico, che il tuo ultimo post ha colpito nel segno: con poche parole sei riuscito a farmi riflettere sull’importanza della lettura nella mia vita e a ripercorrere il passato cercando di individuare i momenti in cui sono stata meno infelice.
Mi è piaciuto, insomma. Per quel che vale 🙂
Per quel che vale, Riccardo vive in provincia di Modena e non credo il suo sia stato un pourparler; mi è sembrato un post sentito e partecipato… a me l’articolo ha emozionato. Per quel che vale, ripeto:-)
Federico, hai centrato il punto e mi diverto a mettere altre virgolette.
I tipi di informazione.
L’ “Informazione”, ovvero una notizia data in modo corretto, fornita da fonti dirette o accreditate e data con tempismo (p.e., in questo caso, la voce degli stessi terremotati o di chi vive nelle tendopoli per dar loro una mano, in questo momento – ieri o domani la stessa notizia potrebbe essere diversa).
La “Disinformazione”, ovvero una notizia che viene fuori da un sentito dire, da un passaparola o da un errore di comunicazione che può essere causato anche dalla non tempestività della comunicazione stessa (p.e. un siciliano che ha sentito dire da un cugino che lavora a Bologna che col terremoto è venuta giù la Ghirlandina e ne parla dal barbiere).
La “Controinformazione”, ovvero la notizia che gli organi ufficiali non danno e che spesso viene da persone direttamente informate (p.e. le testimonianze di abitanti di Modena che non hanno avuto danni dal terremoto mentre la loro situazione è stata accumunata, in una sorta di “informazione disinformata”, a quella di chi ha avuto veri disagi e che lo comunicano).
E infine c’è il “Pourparler”, in cui possono rientrare scienziati fra virgolette, ipotesi, gli “armiamoci e partite”, cani e gatti sensitivi, perché tanto è una comunicazione fine a se stessa ma, in quanto tale, se è ispirata da fatti di cronaca “dolorosa”, come la morte di una studentessa all’entrata della scuola o popolazioni colpite dal terremoto, rischia di passare per speculazione mediatica.
Molto meglio la “critica costruttiva”, dove insieme alle accuse si fanno proposte, o la “critica distruttiva”, dove, con cognizione di causa si fa dettagliatamente a pezzi l’argomento (gli “1” o i “3” nelle pagelle di Ivan!).
Quindi: se è un “tanto per parlare”, a volte sarebbe preferibile che gli argomenti si limitassero a Belen e Corona.
Sennò, per dirla con il mitico Ivan, di cui adoro l’acido cinismo che sta in punta alla sua penna affilata: ogni tanto un po’ di silenzio farebbe bene!
ora ci manca solo lo “scienziato” che afferma che il terremoto è annunciato dal suo gatto che miagola e il cane che abbaia(fosse il contrario allora sì che mi stupirei) e poi siamo al completo. ad ogni terremoto gli “esperti” del settore mi sembrano come quegli economisti, bravissimi a spiegare il crollo della borsa…del giorno prima. Almeno lo ammettessero che brancolano nel buio.
e intanto ci siamo dimenticati che gli scienziati plurilaureati in ingegneria con tutti i satelliti a disposizione non avevano allertato neanche per lo tsunami che è un effetto conseguente (e di molte ore) a un terremoto…ogni tanto un po’ di silenzio farebbe bene
A volte e in certe situazioni ben vengano i toni misurati. Per @chiara: meno male che abbiamo capito che un certo tipo di scienza deve essere messa tra virgolette, ed anche un certo tipo di informazione!
FABIOBG
1 giugno 2012 – 23:19
Abito a Modena
– Per colpa di questa informazione “drogata” sono costretto a tranquillizzare amici sparsi per l’Italia e il mondo, convinti che a Modena città la situazione sia molto peggiore di quella reale.
– Io stesso sono vittima di questa informazione. Sento le scosse e mi spavento, ma penso anche a quelli che, ahimè, le sentono ben più di me e ne subiscono danni e lutti. Accendo la televisione per informarmi. Risultato? Mi trovo sommerso da un carico di emotività indistinta, che vuole mandarmi nel panico per vendermi il suo prodotto. Prodotto che dovrebbe raccontare quello che vivo, e invece tende a sostituirlo.
GUIDOC
2 giugno 2012 – 06:33
Provate un attimo a ripensare quello che scrivevano in Marzo 2011 per il terremoto del Giappone: paese in rovina, spacciato, Tokyo evacuata, e altre baggianate (eufemismo) accompagnate da foto discutibili.
E’ stata usata anche la parola “apocalisse” in un titolo di un grande giornale.
Altro che tranquillizzare: qui chiamava la gente in lacrime che ci chiedeva di ritornare assolutamente in Italia anche se stavamo ad Osaka, a circa un migliaio di chilometri dagli eventi.
E l’Emilia sta relativamente vicina a tutti gli italiani, immaginatevi i racconti di un posto a diecimila km di distanza quanto possano essere distorti (ovviamente con le, poche, encomiabili eccezioni).
In tutto cio’, massima solidarieta’ alla gente colpita, anche dal giornalismo d’accatto.
Vorrei fare i miei complimenti per il post, che è di un equilibrio perfetto. Una delle cose più poltically correct lette ed ascoltate in questi giorni. Da amante della scrittura trovo che sia stata un’impresa riuscire a parlare di tutto e di niente contemporaneamente ed a disegnare un percorso di frasi così ben costruite senza riuscire ad arrivare a nessuna meta: direi un capolavoro di virtuosismo prosaico.
A rimetterci, forse, un po’ di sostanza, che, se proprio si vuol parlare di fatti importanti di cronaca, che vanno a toccare il sociale non dovrebbe mai venire meno. Il succo del post, al di là del rimpasto di elementi emersi nel corso della puntata di giovedì scorso di “Servizio pubblico”, poco apporta alla riflessione, alla distrazione e all’accrescimento del lettore.
Come poco apporta alla rinascita delle zone colpite tutta la solidarietà espressa in questi giorni, anche dallo Stato e dalla Chiesa: se le incitazioni e i “siamo vicini all’Emilia” letti nelle piazze, in banali post su Facebook, usciti da bocche pubbliche e private, fatti cantare addirittura dagli Inti Illimani, fossero stati soldi, la provincia di Modena adesso sarebbe più ricca del Sultanato del Brunei e davvero potrebbe pensare di iniziare a ricostruire. Soldi che invece sono andati comunque in feste che “ahimè erano già state programmate”, ma che, giocate con la fascia nera al braccio e un manifesto pieno di “solidarietà” alle spalle, sono state davvero “politically correct”, proprio come questo post.
Sono stata definita “buona”, ma non posso considerarmi “buonista”: preferisco di gran lunga la coerenza di chi tace su argomenti che non lo toccano minimamente e che con un “ecchissenefrega” continua a spassarsela senza fingere pietà.
A proposito di “feste”: mi piace tanto come scrive Riccardo Iannello, spero che il suo reportage sulle Festas di S. Antonio di quest’anno riesca ad essere un po’ più toccante, partecipato e di sostanza di questo post. Ma, leggendo da mesi, sulle belle pagine di Radio Pereira, il suo amore per il fado e per Lisbona, sono sicura sarà così.
Chiudo facendo mia una frase del post: non si piange sul latte versato. Si asciuga e si individua l’ostacolo che ci ha fatto ribaltare la tazza e lo si rimuove.
Per evitare che le lacrime rischino di fuoriuscire di nuovo.
p.s.: ho apprezzato lo spostamento del dibattito dei commentatori sull’attendibilità e sulle basi del “metodo scientifico”, che da secoli diamo per scontato, ma che, a quanto pare, visto che ci sono ancora scienziati “ufficiali” fra virgolette, crea ancora discussione.
X il dibattito
Il terremoto in fieri era stato rilevato dai sismologi
del servizio di Stato mediante foto satellitari in grado di rilevare movimenti relativi dei terreni di diversi millimetri, segno che il terreno si stava caricando ed entrava in tensione.
Il terreno si comporta come la corda di una chitarra.Via via che viene tesa si stira, prima elasticamente, poi entra in fase plastica, infine si rompe con il classico chop.
Quando il terreno si rompe, ad una certa profondità dal piano di campagna, si sente un immenso boato (il chop della corda di chitarra) e da quel momento si sviluppano le onde sismiche che , sfericamente, si propagano fin sulla superficie e ovunque.
A scuola, a ingegneria, tutti gli studenti ricordano la prova di tensione di un tondino metallico immerso in acqua che viene rotto a trazione.Si sente il chop e poi si vede l’acqua della vasca incresparsi.
Non è improbabile che Giuliani abbia una certa ragione.
Nei terreni che entrano in tensione si possono infilare facilmente vari tipi di gas presenti nel sottosuolo,ma anche il semplice e continuo monitoraggio delle foto satellitari è uno strumento molto utile per segnalare uno stato di potenziale pericolo quando il terreno entra in tensione.
Quindi si poteva fare sicuramente qualcosa di più nella prevenzione dal rischio sismico in Emilia e prima ancora a Ferrara.
Il problema è che l’Italia è un paese largamente disorganizzato , con tanta corruzione in giro e che dispensa incentivi energetici in ogni dove senza il minimo costrutto.
In Italia i terremoti sono frequenti e il tessuto edilizio, soprattutto storico, è ad ampio rischio.
Dopo la recessione è capitato pure questo e lo sconforto viene comunque.
Perché mette tra virgolette gli scienziati “ufficiali”? Quali sarebbero quelli “non ufficiali”?
Allo stato attuale il sig. Giuliani, se lo misuriamo come scienziato con l’unico strumento possibile, ovvero la sua credibilità nell’ambito della comunità scientifica, è un cialtrone (do you remember Di Bella?). Se poi fra 100 anni sarà dimostrato attraverso il “metodo scientifico” che questa era la scoperta del secolo e la Terra sarà disseminata di apparecchi che rilevano la fuoriuscita di gas randon dal sottosuolo al fine di prevedere terremoti e contenerne le conseguenze, vorrà dire che sarà riconosciuto come genio da morto, ma sempre dalla stessa comunità scientifica. Può risultare antipatico, ma è così che funziona con queste cose. L’alternativa più figa e democratica sarebbe un bel referendum … che so, Grillo e Di Pietro che raccolgono firme per decretare con un referendum popolare se il sig. Giuliani ha ragione, lui che lotta contro le lobbies dei poteri forti che vogliono i terremoti e i morti perché cresce il pil; oppure, meglio ancora, potremmo determinarlo con una raccolta di adesioni sui blog e facebook.
Anche questa idea che sia “la natura si ribella ai mali che gli uomini le fanno, alla nostra provocazione”, è un’idea discutibile e reazionaria. Direi “creazionista”. Una natura illibata e benigna che sarebbe stata data in dono dal divino agli uomini, i quali altro non fanno che corromperla e insozzarla con i propri comportamenti. In realtà, se cambiamo prospettiva, e ci mettiamo in un’ottica più progressista e “darwiniana”, dovremmo prendere atto che la natura è in continua evoluzione e che non esiste un prodotto che possa dirsi naturale (o, se preferisce, visto che l’uomo fa parte della natura, sono tutti naturali), e che l’uomo, con il progresso e a suon di errori e fallimenti, altro non fa che cercare di imbrigliarla a proprio vantaggio. (le albicocche, per esempio, non esistono “in natura”, sono un incrocio fatto dall’uomo, perfino quelle più iperbiologiche che possiamo immaginare).
Di questo post salvo solo gli Inti Illimani! 😉