Dulce Pontes canta nel chiostro

Lo confesso, ho pianto. La commozione ogni volta che ti prende è una brutta bestia, ti entra dentro, ti arriva in fondo. Mi accade spesso di cadere nella tentazione di piangere di gioia quando sono in una casa di fado. Una contraddizione, dirà qualcuno: il fado non dà allegria, il fado rimescola i nostri sentimenti e cattura le emozioni del ricordo, della mancanza, dell’attesa a volte infinita. Eppure, per me, è gioia. Come quel giorno nel chiostro del Convento di Tomar, una rocca dove i Templari prima e l’Ordine di Cristo poi hanno regnato sulle teste degli umani. All’interno di questo chiostro, Dulce Pontes stava registrando un brano, “Ave Maria fadista”.

Dulce Pontes registra Ave Maria fadista.

Eravamo lì, io e Federico e tanti amici fra i quali un altro italiano importante, il violoncellista Davide Zaccaria, a passare i giorni e creare le atmosfere più importanti per “O coraçao tem tre portas”, un disco unico, una esperienza che mi ha lasciato molte belle cose. Una sensazione di pace e riflessione, intanto, proprio nel giorno di “Ave Maria fadista”, un pomeriggio di inizio autunno, quando il sole di Portogallo è ancora caldo e alto.

Fernando Silva alla guitarra portuguesa.

Dulce, vestita di chiaro, in mezzo al chiostro, ai suoi lati i due musicisti (nell’occasione Fernando Silva alla guitarra portuguesa e Paolo Feitera alla chitarra classica). Il brano è un classico, una preghiera laica, come molte volte accade nei testi più profondi del fado. Volutamente, il chiostro era pieno di turisti, la registrazione richiedeva anche quello: che ci si sentisse vivi in mezzo alla gente, che se ne cogliessero i respiri: sarebbe stata la gente stessa a moderarsi, a creare l’atmosfera.

Dulce Pontes, Fernando Silva, Paolo Feitera.

Accadde proprio così. Dulce ripeté più volte l’ave Maria, la gente si fermava ad ascoltare quasi genuflessa, un gruppo di italiani era sbalordito: avremo tante cose da raccontare a casa…, ci dissero. Alla fine il risultato di quella registrazione fu straordinario, lo prova il cd, appunto “O coraçao tem tres portas”, che ha vinto numerosi premi internazionali. Dulce ha poche parole per la gioia, molte per il risentimento.

Dulce Pontes al Convento di Tomar.

Quel giorno la felicità le si leggeva negli occhi e così potemmo, al tramonto, uscire nella brezza di Tomar e dedicarci a una bella cena, a del buon vino, per parlare ancora di quella emozione, di quella festa che c’era stata attorno a noi grazie alla musica, grazie a un fado. E le inventai una leggenda alla quale rise molto, magari un giorno ve la racconterò… Basti dire, ora, che nella leggenda Dulce è un pettirosso e i due chitarristi i monaci che le cantano il madrigale…

Dulce è un pettirosso e i due chitarristi i monaci che le cantano il madrigale...

Ps: imperdibile, per chi lo desidera, la tournée di Dulce Pontes: sabato 17 luglio a Monforte d’Alba, lunedì 19 all’Arena Civica di Milano, martedì 20 al Castello di Donnafugata vicino Ragusa.

4 Commenti

  1. Io l’ho sentita cantare a Torralba, in Sardegna, nel 2003. alle sue spalle il nuraghe e tutta la suggestione della sua voce è assolutamente magica. Non ho resistito dal chiederle l’autografo e un beijo, grandissima artista, una delle migliori nel panorama della musica portoghese

  2. conosco Dulce…o meglio…la sua musica da molti anni ormai… mi cattura l’anima..me la strappa e la porta su sentieri che la mia volontà non vorrebbe fargli compiere.
    la porta sulle strade della malinconia…del dolore… della nostalgia di chi non c’è più…
    le fa prendere coscienza e me la consegna più forte.
    POSSO PROSEGUIRE…

    Ringrazio Dio per il dono che a volte ci fa di creare queste creature meravigliose… e Dulces ne è una delle migliori…e sono sicuro che anche lui se ne glorii con orgoglio nel sapere di aver fatto bene.

    il concerto al castello di Donnafugata è stato meraviglioso…
    quello che ho provato e la eco che me ne rimane di quelle sensazioni esulano dall’essere facilmente comprese nelle categorie di giudizio…
    in effetti ogni tentativo sarebbe piuttosto una limitazione della grandiosità evocativa che ha la voce di questa donna.

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