Ecco un articolo di Michele Smargiassi che spiega bene molte delle dinamiche che stanno dietro al dibattito che volentieri ospitiamo su Radio Pereira.
Redazione Radio Pereira

Salvate il piccolo libraio
Repubblica — 11 settembre 2009

A Cagliari quest’inverno crollò il Bastione. I clienti della libreria di piazza Costituzione trovarono la notifica di fallimento appiccicata sulla saracinesca. Poche ore dopo però il triste foglio non era più solo: bigliettini d’ addio e straziante rimpianto, pagine strappate da libri, un’ amara citazione da Fahrenheit 451. Commovente. Infatti qualcuno si commosse: una cordata di librai sardi rilevò l’ azienda. Il Bastione ha riaperto. Piccolo happy end in un mare di lutti e di reincarnazioni. Le librerie indipendenti chiudono una a una o cambiano forma. Sgocciolano via le botteghe della lettura, scompaiono i dettaglianti della cultura, gli ecologici difensori della “bibliodiversità”. Gli ultimi dodici mesi sono passati come i lanciafiamme del romanzo di Bradbury sui piccoli negozi di carta stampata, senza distinzione tra blasonate e anonime, antiche e recenti, metropolitane o provinciali.

Addio alla Gremese di Roma, al Pavone Nero di Napoli (la prima coi tavolini), alla Pergamena di Oristano, alla Lef di Firenze (quella di don Milani), alla Hobelix di Messina (una delle ultime figlie della contestazione anni Settanta), alla Sapienza di Viterbo, alla Capriotti di Como, alla Scolastica di Teramo, alla Libreria del giallo e agli Archivi del Novecento di Milano, e la lista continua. Fenomeno annoso, incattivito ma non prodotto dalla crisi. «In agosto non ho battuto scontrino per dieci giorni», lamenta Giorgio Lodetti della Bocca di Milano, ascendenza settecentesca e vetrina in Galleria, «ormai vengono da noi come ultima chance, “non lo trovo neanche in Internet, voi l’ avete?”».

Alcune città (Genova, Bari) soffrono meno. Alcune librerie stringonoi denti, come le romane Cascianelli e Micozzi, tra appelli al sindaco e petizioni, oppure gettano il cuore oltre l’ ostacolo, come la neonata Books in the Casba di via Pré a Genova, motto: “Lavora sulla frontiera, se ne trovi una”. Ma l’ elenco delle vittime è lungo. Una trentina almeno, stimano all’ Associazione librai. «Un lutto culturale» per Paolo Soraci delle librerie Feltrinelli; ma spesso sono proprio le catene commerciali ad approfittarne, fagocitando le scomparse: di recente Feltrinelli ha rilevato la centenaria Pontiggia di Varese, la Civetta di Pavia, la Simonelli di Perugia (c’è però una bella targa ricordo), Giunti la cinquantennale Minerva di Cesena,e i nuovi arrivati di Coop la Nautilus di Mantova, quella di Luca Nicolini, l’inventore del Festival della Letteratura.

Quando il necrologio è eclatante, come quello recentissimo della Palazzi di Porta Romana a Milano (rimpiazzata da una banca), la notizia buca le pagine nazionali dei quotidiani, qualche intellettuale scrive dolenti elegie, si raccolgono firme, più libro di condoglianze che mozione di protesta; poi il mare si richiude sui naufraghi, e in superficie continuano a incrociare quasi solo loro, le cinque-sei grandi catene, Feltrinelli, Mondadori, Fnac, Ubik, Giunti, Coop: in dieci anni hanno quadruplicato i punti vendita (un terzo del totale)e raggiunto metà della quota di mercato. Se ne potrebbe trarre una morale sbrigativa alla Naomi Klein: logo contro no-logo, grande divora piccolo. I segni della macdonaldizzazione del libro in effetti non mancano: le librerie “pure” in Italia sono circa 1700, ma un quarto dei volumi si vende ormai in spazi anomali: addirittura 70 mila, tra edicole, supermercati, autogrill e negozi di ogni genere, visto che oggi trovi libri in vendita in mezzo ai telefonini, ai dvd, alla verdura biologica, alla biancheria intima. «E tutti con lo sconto», sbotta Romano Gobbi della Romagnosi di Piacenza. «Usano i libri come specchietti per allodole – dice – sono merce prestigiosa, elevano il tono del negozio, e possono anche venderli senza guadagno. Perché lo scaffale dei libri è sempre il primo che incontri negli ipermercati?».

Gobbi, 75 anni «e nessuna voglia di gettare la spugna», ti fa capire che le ragioni della moria sono complesse, e la reazione non può essere solo un romantico appello al passato. Sta mettendo su un comitato di lotta, “Librai Liberi”, 118 adesioni. Bersaglio: lo sconto, appunto. Ce l’ ha più con gli editori che coi colossi del libromarket. Spiega: «Gli editori concedono ai supermercati e alle catene margini fino al 50, 60%, a noi solo il 30: per loro fare sconti è più facile. Questa concorrenza sleale ci strozza». La sua proposta, provocatoria: «Trattateci comei giornalai. Dateci solo il 1520%, ma basta sconti, per tutti». La rivolta dei piccoli è iniziata. Un’ altra associazione di resistenza, guidata da Marcello Ciccaglioni della piccola catena Arion, annuncia una manifestazione per ottobre. «Entro cinque anni potrebbero non esistere più librerie indipendenti», afferma. Non ce l’ hanno direttamente coi superstore. Neanche con le vendite Internet, in crescita a due cifre ma ancora non preoccupante, tantomeno con l’ e-book che balbetta.

Lo sconto assassino, ecco il vero grande nemico. Meno 20, meno 30: fino a qualche anno fa erano solo sporadiche “settimane della lettura”, adesso gli adesivi gialli o rossi sulle copertine sono una presenza costante nei grandi negozi. Le catene comprano dagli editori libri a metà del prezzo di copertina, con l’impegno a metterli per qualche settimana al 30% di sconto; ma le rimanenze si venderanno poi a prezzo pieno. Un giochetto che non serve neppure a far leggere di più gli italiani: i lettori sono calati in un anno dell’ 1,2%, le vendite (45 milioni di libri) sono tornate al livello del 2002 e il fatturato del libro (3,7 miliardi di euro) ristagna con incrementi che faticano persino a recuperare un’inflazione ai minimi. Pura cannibalizzazione, gli sconti servono solo agli editori per strappare ai concorrenti quei clienti che un libro lo acquisterebbero comunque. Certo, il lettore ama gli sconti.

Quella dei piccoli librai è una battaglia che rischia l’impopolarità. «Faremo capire ai lettori che gli sconti sono una finta – promette il presidente dei librai Confcommercio Paolo Pisanti- per concedere alti sconti alla grande distribuzione gli editori devono alzare il prezzo di copertina: sembra un paradosso, ma senza sconti i libri costerebbero di meno». «Fare come in Francia» è lo slogan. Là fu il ministro Jack Lang nel 1981 a imporre il prezzo fisso dei libri (massimo sconto: 5%). Risultato: il mercato del libro è in salute, i prezzi sono contenuti e le piccole librerie sopravvivono; mentre dove è stata imboccata la strada opposta come in Gran Bretagna (ognuno fa il prezzo che crede) il costo medio s’ è impennato e le bottegucce di Charing Cross Road tremano. «Hanno ragione, basta sconti, umiliano il libro».

Guarda un po’ chi dà ragione ai “piccoli”: è Romano Montroni, per decenni alla guida delle librerie Feltrinelli, ora delle aggressive Librerie Coop, insomma uno dei sospetti killer dei librai indipendenti. «Ma quale killer, ogni anno io ne creo un centinaio. Per loro ho scritto un manuale, “Vendere l’anima”. Guai se scompaiono i librai», protesta. «Ma i tempi sono cambiati. La libreria oggi non è più “un buco con un genio dentro” come scrisse Umberto Saba. Un libraio è un imprenditore della cultura, per sopravvivere deve fare scelte imprenditoriali». Alle sue spalle i settecenteschi scaffali della libreria Palmaverde, un buco di Bologna dove per decenni regnò un genio, il poeta Roberto Roversi, ospitando Moravia, Sciascia, Calvino. Quando chiuse per stanchezza, tre anni fa, fu la perdita culturale più dolorosa per la città dopo la fine della storica Cappelli, amata da Pasolini, oggi profumeria. La libreria Coop Ambasciatori comprò tutto, mobili compresi, e li mise qui, in questo negozio book-food da cui puoi uscire con uno Svevo e una salsa di capperi nella stessa sportina. Montroni, lo dica: per i librai è finita. Del resto anche il salame si vende ormai senza salumieri… «Dico il contrario. Le librerie indipendenti devono vivere. Ma servono curiosità, dinamicità e investimenti. Sotto i 250 metri quadri e i trentamila titoli, inutile provarci. Non è il romanticismo del libraio colto disordinato e chiacchierone, col cane sotto il tavolo, che salverà le botteghe della lettura».
MICHELE SMARGIASSI

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