Haiti dopo la catastrofe.
Diario di un infermiere professionale volontario – 6 (Fine)

Port-au-Prince, 24 febbraio 2010

Macerie del terremoto ad Haiti.Ciao Pulcio, ormai sono alla fine di questa esperienza…. o almeno questo testimonia il numero di casi che trattiamo ogni giorno, ed il conseguente livello di adrenalina mio e dei miei compagni… forse è meglio però che ti dica
testimoniava.

Ti accennavo infatti al sopralluogo fatto nei quartieri popolari di Port-au-Prince, questa città di 2 o 3 milioni di abitanti, che dalle colline che la circondano, dove ci sono i quartieri più ricchi, scende come una colata di lava nella valle che termina sul mare ed in particolare termina al porto, centro vitale della vita e del degrado di questa gente così sfortunata.

Posso dire di averne viste ormai di queste aree, metropolitane o meno, colpite da terremoti o catastrofi in genere; ma quello che ho visto ieri mi ha particolarmente colpito, mi ha lasciato soprattutto con un vuoto generato dalla impossibilità di immaginare un futuro.

Le costruzioni erano prima ammassate una sull’altra con piccole stradine che correvano disordinate tra le case, ora il sisma ha reso quasi impossibile il passaggio in questi cunicoli; non è rimasto più niente di integro e tra le macerie si aggirano gli abitanti che cercano di recuperare qualcosa, chi una coperta chi un materasso, queste sono le cose di valore che possono essere recuperate.

Non ti posso fare immaginare la polvere che si respira, i visi che si incrociano, l’odore dei morti ancora non seppelliti con i 40° quotidiani ed i disperati tentativi di riprendere una vita normale, sempre tenendo conto di quello che era già prima la normalità da queste parti.

Con queste immagini nella testa, ieri sera qualcuno di noi è andato a visitare, insieme ai militari della San Marco, la sede dell’Onu. Un passaggio in un bar su una terrazza frequentato da giovani impiegati provenienti da tutto il mondo riporta per un paio d’ore alla normalità, poi a letto, domattina altra giornata di lavoro.

Si dorme un po’… poi….ore 01.36, ci pensa la natura a riportarti alla realtà:
4.7 gradi della scala Richter, le brandine nella tenda ballano e l’ospedale vicino a noi fa lo stesso, i pazienti terrorizzati vogliono uscire, ragazzi con arti operati si buttano giù dal letto e le mamme prendono in braccio i bambini e le flebo che somministrano la terapia e si precipitano in giardino.

Dobbiamo evacuare l’ospedale, ci si rende conto che il terrore che questa gente porta dentro è immenso, non abbiamo possibilità di rassicurare nessuno, sotto tende di fortuna sistemiamo i feriti ed i loro familiari, una bambina ricorda “il mare sulla terra” riferendosi alle onde che si sono generate sul terreno nell’occasione della scossa principale.

Ora vado a letto aspettando un’altra notte, i pazienti adulti sono rientrati mentre i bambini passeranno un’altra notte all’aperto nel giardino dell’ ospedale… intanto la vita qui torna alla normalità, oggi abbiamo operato uno sparato della zona del porto colpito dalla polizia, pare uno dei segni di un ritorno alla vita normale.

Adesso qui sono le 23:35 e… vado nanna. Ciao, ci vediamo fra pochi giorni.

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