Lungo una via del centro storico della mia città, sono ormai sette mesi che, sulle scale dei portici che fanno da cornice a negozi di lusso e a una libreria indipendente, siede spesso un uomo, ormai anziano. Se ne sta seduto tutto il giorno in attesa; davanti ai suoi piedi, un cartello: “ SONO ITALIANO, SONO IN DIFFICOLTA’, PER FAVORE UN PICCOLO AIUTO”.
Oggi pomeriggio mi trovavo a pochi metri dall’anziano signore, intento a guardare la vetrina di un negozio e la mia attenzione viene attirata da due ragazzine che passano per la via e che, vedendo il cartello posto a terra, rivolte all’uomo, dicono: “Perché se fossi straniero ci sarebbe differenza?” A me è gelato il sangue. L’anziano uomo, invece, le ha mandate a quel paese, aggiungendo che si dovevano vergognare.
Ripensando all’accaduto non ho potuto fare a meno di constatare che le due ragazzine (erano straniere, l’ho capito dall’accento, ma sul momento non gli avevo dato importanza) non stavano facendo altro che evidenziare una forma di razzismo in quel cartello. Insomma, avevano ragione. Che bisogno c’era di scrivere “sono italiano” se non per porre una distanza con chi è solito chiedere l’elemosina? “Non sono mica un pezzente, come quelli là! Io sono italiano. Sono diverso.”
Ora, in questa “guerra tra poveri” è certo che io capisca e comprenda e giustifichi con tutto l’affetto di questo mondo le intenzioni dell’anziano signore, e giustifico e comprendo la reazione, forse scomposta e poco rispettosa delle due ragazzine, ma ciò che non giustifico è il fatto che io in tutti questi mesi non abbia mai pensato, guardando quel cartello, che in fondo si celava una sorta di messaggio razzista.
Per farmene rendere conto ci sono volute due ragazzine straniere. Le uniche che forse veramente potevano sentirsi gravemente offese da quel cartello.
Federico Tamburini
..me la passo male, è un momento difficile, ma sono come te, bengalese.
certo che ha sottolineato – sono italiano – come dire, me la passo male, è un momento difficile, ma sono come te, italiano.