“Suonavamo perché l’oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro.”
Suono il pianoforte da quando avevo otto anni e ciò che continua a piacermi più di tutto nell’esecuzione strumentale è il sodalizio musicale. Suonare con altri musicisti è un’esperienza sempre divertente, proficua, emotivamente edificante. Non so se esista un analogo, un’altra azione simile che possa attuarsi tra due o più persone che sia in grado di regalare altrettanto entusiasmo e gratificazione. Se non siete musicisti esiste un bel modo, un gran bel modo! per capire cosa voglio dire: leggere “Novecento”.
Novecento è un romanzo di Alessandro Baricco, nasce come trascrizione di un monologo teatrale, per poi diventare un film, “La leggenda del pianista sull’oceano”. La colonna sonora del film è stata composta dal maestro Morricone. Mi vien quasi voglia di continuare a parlar di musica, ma in questa sede ho pattuito che parlerò di libri; quindi sto nei ranghi e vi racconto di come un libro possa generare un’armonia consonante, di come Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento un giorno da buon trovatello in mezzo all’oceano si sia seduto dietro un pianoforte e abbia raccontato emozioni ai tanti viaggiatori del Virginian; su e giù, da un continente all’altro, andata e ritorno, nota su nota, dalla prima alla terza classe, dal pianoforte a coda del salone delle feste al pianoforte a muro tra i popolani: dal jazz alle danze popolari, passando ancora una volta per il ragtime.
Ma se ci ostiniamo a voler classificare, non capiremo mai chi era Novecento, né tantomeno cos’ha questo libro di così strepitoso da incantare e commuovere nelle sue esili 90 pagine.
“Noi suonavamo musica, lui era qualcosa di diverso. Lui suonava… Non esisteva quella roba, prima che la suonasse lui, okay? Non c’era da nessuna parte.”
Dove aveva imparato quell’orfanello, ritrovato in fasce sulla nave, adottato da un marinaio e rimasto orfano di nuovo a otto anni? Nessuno sa dirlo.
Successe che una notte ricomparve dopo una lunga latitanza (il capitano voleva farlo scendere e lui che conosceva la nave come nessuno, sparì).
“Tutti in silenzio a guardare.
Novecento.
Stava seduto sul seggiolino del pianoforte, con le gambe che penzolavano giù, non toccava nemmeno per terra.
E,
com’è vero Iddio,
stava suonando.”
Il capitano lo vide “e attraversò a passi decisi il salone: pantaloni del pigiama e giacca della divisa non abbottonata. Avrebbe voluto dire molte cose in quel momento, e tra le altre Dove cazzo hai imparato?” o anche Dove diavolo ti eri nascosto? Ma quello che disse fu:
– Novecento, tutto questo è assolutamente contrario al regolamento.
Novecento smise di suonare. Era un ragazzino di poche parole e di grande capacità di apprendimento. Guardò con dolcezza il comandante e disse:
– In culo il regolamento.
Ok! Ci piace e ci fa tenerezza la storia dell’orfanello che sa suonare il pianoforte, ma dato che sarebbe strano se io vi raccontassi romanzetti, torniamo alla faccenda del sodalizio musicale.
Il monologo non è il monologo di Novecento, ma del trombettista che un giorno s’imbarca sul Virginian e inizia a suonare insieme a lui. Scopre che la musica che aveva ascoltato ed eseguito fino a quel giorno era una musica classificabile, eseguibile, con delle regole rintracciabili. Quella di Novecento, invece, era la Musica.
“In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava… Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa. Ci viaggiava sopra da dio, poi, mentre le dita gli scivolavano sui tasti, accarezzando le curve di un ragtime.”
“Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c’entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto non contava.”
– Mi raccomando Novecento, – gli diceva sembra il direttore della band, – solo le note facili…
Quasi implorante, oltremodo impaurito dalla possibilità di non riuscire a dirigere i suoi umili orchestrali se solo quel pazzo di Novecento avesse iniziato a delirare col suo pianoforte.
Ma l’unico che gli teneva testa a quel punto era il suo amico trombettista, l’uomo che ci ha raccontato questa storia.
Anche quando sulla nave sale Jelly Roll Morton, un virtuoso del pianoforte, per sfidarlo, Novecento rimane quasi indifferente. Lui non sa cos’è una sfida, lui suona sull’oceano, suona sulla danza del mare infinito, la sua scansione ritmica, la sua percezione armonica ha un altro sistema di misura. Novecento non conosce la competizione tra musicisti, lui intende solo la musica. Il duello non è un duello. O meglio: per Jelly è un duello, per Novecento è surriscaldare le grosse corde del pianoforte, così, tanto per divertirsi un po’.
Quando ho letto la prima volta questo libro ho avuto la precisa sensazione, nel terminarlo, era di aver letto una musica, di aver volato su uno spartito. Uno straordinario La bemolle maggiore.
Novecento perché non scendi da questa nave?
“Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita
Se quella tastiera è infinita, allora
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Ringrazio il cielo che ci ha regalato il maestro Ennio Morricone. Lavorando al design musicale di questa rubrica mi rendevo conto che qualunque punto della musica sembrava cucito su misura, era perfetto, qualunque brano era in grado di raccontare con perizia di colore questa storia. Tutte le musiche sono tratte infatti dalla colonne sonore del film “La leggenda del pianista sull’oceano” che ha, peraltro, la regia di Tornatore.
Scusate ma c’è una differenza tra il libro e il film…
come ha fatto un libro di 50 pagine a diventare un film di tre ore? Quale parti sono state tolte?
E’ stata una bella esperienza la rubrica di questo mese. Ennio Morricone ha scritto delle pagine musicali straordinarie e vigorose. E il testo di Baricco permetteva tanto. Scrivere questo post e ragionare il design musicale è stata un’immersione rigenerante per me.
Complimenti !!! Tu ringrazi il cielo per Morricone. Secondo me ad un certo punto si fondono…
Ciaooooo
900 è sempre un grande viaggio!