Un carissimo amico e collega portoghese, Manuel Halpern, mi ha inviato tramite il Jornal de Letras un video che in esclusiva il periodico culturale di Lisbona – fatto in modo encomiabile, una lettura che mi appassiona sempre – presenta su Cristina Branco.

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Già una volta ho parlato qui di Cristina dolendomi del fatto che fra le tante artiste che conosco personalmente non è purtroppo fra queste. Ma di lei ho grande stima e ascoltarla nei suoi cd è un momento di grande gioia. Cristina è fadista nel cuore e nell’anima, ma è anche musicista a tutto tondo, tanto che questo album in uscita proprio domani, lunedì 28 febbraio, si intitola “No ha so tangos em Paris”, non ci sono solo i tanghi a Parigi. Non posso per motivi che capirete ovvi riprodurre qui quel video, ma “Anciao en Paris”, la canzone che vi appare, cantata in castigliano, è musica internazionale a tutti gli effetti. Cristina vi è accompagnata dai simboli del tango e del fado: l’accordeon (Ricardo Dias, come sempre notevole) e la guitarra portuguesa (il giovane, ma già pregevole Bernardo Couto), con loro la viola de fado (Carlos Manuel Proença, un nunero uno), il contrabbasso (Bernardo Teixeira) e il piano (Joao Paulo Esteves da Silva). Tango e fado giocano spesso parallelamente. Ne dette una lettura molto interessante anche Dulce Pontes, che coinvolse nel progetto Jorge Fernando. Cristina dà una definizione di fado e tango molto bella nella intervista al giornale portoghese.

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Possono essere considerati, dice, fratelli oppure amanti, quindi una simbiosi totale. E su se stessa la Branco non è ambigua: quando canto fado sono fadista al cento per cento, e fadista dentro si sente anche quando interpreta altro. Una raccomandazione per i nostri amici che avranno la fortuna di andare presto in Portogallo: non perdete il cd di Cristina, vi delizierà completamente (come tutti quelli che sono editi. Il consiglio è di presentarsi alla Fnac del Chiado e portarseli a casa!).
Ho accennato all’inizio a Manuel Halpern. Una conoscenza preziosa, di quelle che si fanno a Lisbona, tutta cuore e genuinità. Ne avevo già accennato parlando del suo interessantissimo libro, “O futuro da saudade”. Lo riprendo spesso in mano e mi immergo nella lettura e nel ricordo della presentazione, al Santiago Alquimista.

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Il locale è bellissimo, sulla salita che porta al Castello, e non propone per forza solo fado (nel video ci sono i Deolinda, nuova formazione che coniuga appunto il fado alle altre musiche tradizionali e che merita attenzione), anzi: è un vero e proprio cantiere di creatività che spazia dalla musica alle arti visive, dal cinema alla letteratura. Me lo fece conoscere appunto Manuel quella sera quando presentò “O futuro da saudade”, che anche adesso ho fra le mani. Una lettura molto interessante, peccato che ancora non ci sia una versione italiana. Ma sicuramente offre alcuni spunti che qui sono già stati analizzati e altri che prenderemo in esame.

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Uno riguarda i Madredeus e Teresa Salgueiro, allora la cantante del gruppo, che nel nostro cuore rimane “la” interprete anche se adesso vola alto su altri progetti. Ma a quei tempi, il libro è del 2004, il Portogallo, e non solo, si interrogava sul fatto che il gruppo facesse o non fado. A dire la verità, Pedro Ayres Magalhaes e Carlos Trindade, che ho avuto l’onore di conoscere personalmente, hanno sempre negato di essere fadisti, ma musicisti in senso lato; certo, Teresa il fado lo conosce, lo ama e lo pratica, anche se i Madredeus li possiamo designare un gruppo popolare nel senso più largo del termine. “Non ne fanno parte – scrive Halpern -, ma nello stesso tempo non possiamo dire che non c’è niente di fado nelle loro musiche: hanno intrapreso una forma differente per trasportare nei loro brani i concetti intimamente legati alla portoghesità, come il destino e la saudade”. Ma col fado non volevano avere a che fare, anche se Trindade ha prodotto diversi artisti di fado. Rimane il fatto, che forse già ho dichiarato e che nel libro di Manuel è decisamente definito, che nei suoi progetti fadisti da solista e con musicisti come Rao Kyao e, soprattutto, Antonio Chainho, Teresa è decisamente una cantante di fado, e fra le più brave.
Questo per dire che il movimento, in Portogallo, è decisamente forte e che merita di essere conosciuto. E che il fado non è davvero fuori dal tempo.

1 commento

  1. -Cristina Branco, una ribatejana sul palco del CCB-

    Cristina Branco è sicuramente considerata una delle migliori artiste portoghesi.
    Nata nel 1972 nella regione del Ribatejo, ad Almeirim, a poco più di un’ ora di macchina da Lisbona. Una terra bellissima, ancora intatta, con paludi, pascoli, allevamenti di cavalli e ampie distese, dove l’unica coltivazione possibile è quella delle querce per l’ estrazione del sughero.
    La sua carriera artistica iniziò alla fine degli anni ’90 quando incise due dischi in Olanda. Il primo era Murmurius e il secondo traeva spunto dai testi del poeta olandese Slauerhoff, basati su un lirismo neoromantico. Stranamente, pur non avendo mai vissuto in Olanda, la Branco vi riscosse immediatamente una certa fama, mentre in Portogallo il suo successo era confinato a una stretta elite.
    A un certo punto della sua vita ebbe l’incontro folgorante e la piena consapevolezza della bellezza e del fascino della musica tradizionale del suo paese: il fado.
    Si appassionò per le canzoni e l’ interpretazioni di Amalia Rodrigues, vera e propria icona. Il suo paese sembrava ancora restio ad accettare che qualcuno appartenente alla nuova generazione fadista post-Amalia potesse reinterpretare dei classici del genere, seguendo una strada che esulava dai canoni classici. Dopo altri tre dischi interlocutori in cui la cantante sembrava destinata a gravitare in una sorta di limbo discografico non riuscendo ad entrare nei grandi circuiti e a cantare nelle massime manifestazioni o nei grandi templi del fado, finalmente nel 2003 arrivò il disco Sensus. I meravigliosi arrangiamenti del chitarrista Custodio Castelo accompagnarono splendidamente i testi con i versi di alcuni mostri sacri, come Vinicius de Moraes, Chico Buarque de Hollanda, Camoes, Shakespeare e Eugenio de Andrade. Un’ impresa ardua che portò l’interesse e la stima dei critici verso questa piccola, tenace ragazza ribatejana.
    Fu il disco della svolta che illuminò il suo cammino artistico e le sue scelte future. I successivi furono tre capolavori:Ulisses, Live e Abril .
    Il disco dal vivo, registrato a Leiden è sicuramente quello più completo e maturo in cui oltre a una serie di omaggi alle canzoni interpretate da Amalia, tra cui Saudade, Barco Negro, Havemos da ir a Viana, Estranha forma de vida, appare Formiga bossa nova di Alexandre O’ Neill (già cantata da Amalia e dalla Calcanhoto), Redondo Vocablo di Zeca Afonso e Porque me olhas assim di un vecchio cantautore portoghese, Fausto, sino ad arrivare alla canzone che come sempre chiude i suoi spettacoli, O meu amor è ma-rinheiro, con musica di Alain Oulman e testi di Manuel Alegre.
    Un vero inno alla libertà, al desiderio d’ indipendenza e di speranza, un classico che molte hanno provato a cantare ma poche hanno ottenuto la potenza espressivo e la capacità di trasmettere quelle emozioni che la Branco riesce a dare ogni volta.
    Ho visto Cristina Branco tre volte dal vivo: la prima fu una decina di anni fa in una piccola saletta della Fnac di Lisbona: stava presentando il suo disco Corpo Illuminado davanti a circa trenta persone. Sembrava una ragazzina sperduta nella capitale; indossava un maglioncino anonimo e dei jeans consumati, ma appena cominciò a cantare si intuì il suo talento e la sua enorme presenza scenica.
    La rividi a un festival a Sines sulla costa alentejana quando ormai era quasi una diva.
    La consacrazione avvenne al Centro Culturale di Belem, il mitico CCB, uno degli spazi simbolo della cultura lusitana. Fu l’apoteosi e ripensai che tutte le strade possono portare a Lisbona anche quelle che vengono da Almeirim.
    Até sempre, Dona Cristina!

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