Buon giorno,
buona Unità d’Italia a tutti,a partire dai politici e amministratori della lega.
Noi festeggiamo pubblicando il primo numero di una rubrica di recensioni letterarie di Federica Campi, recensioni a briglia sciolta. I campioni non si ingabbiano in uno schema.

Pereira

Il cuore, sempre evaso dalle Mie prigioni

Le mie prigioniA colmare il desiderio di un discorso sincero sull’Italia, per ascoltare qualche parola buona, buona a comunicare, almeno, se stessa, ancora nitida suona la voce di Silvio Pellico da quella «stanzaccia oscura, lurida» in cui fu rinchiuso nel 1820, con l’accusa di carboneria, e in cui iniziò la stesura delle Mie prigioni, concluse il primo agosto 1830, data della grazia imperiale.
Un libro che è la lenta ma rigogliosa ricostruzione di un mondo di memorie in cui affiorano, giorno dopo giorno, le gemme del pensiero e, soprattutto, del cuore.
Un libro meravigliosamente intessuto di fede e che senza fede non può essere letto, perché al lettore si chiede ciò che Ezra Pound pretendeva dal critico il quale, davanti al testo, per prima cosa, deve dire ‘io credo’.
Dunque, io credo, leggo.

Silvio sente dalla finestra della sua cella il passaggio delle donne prigioniere, ascolta le loro voci, finché non riconosce, sempre dolce e viva, la voce di una, che canta ogni sera Chi rende alla meschina / la sua felicità?. Comincia a immaginare la bellezza del suo volto, ma più bella ancora le vede l’anima. Poi, un giorno, dei vicini di cella gli chiedono il perché passasse quella maledetta vita, e lui risponde che nessuna vita è maledetta e racconta loro della voce di Maddalena – così si chiamava la donna. E quelli scoppiano a ridere, e gli danno dello sciocco. Quel giorno, il giovane Silvio scrive:

«Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza nel fremere, nel lagnarsi, nel vilipendere, credono follia il compatire, l’amare, il consolarsi con belle fantasie che onorino l’umanità e il loro Autore.»

A questa scrittura, densa di riflessioni, desideri, pietà per i propri cari, e poi sdegno e rabbia e sconforto, si riannoda talvolta l’idea che un cambiamento del paese nasca da un cambiamento morale, come scriverà Anna Maria Ortese, e che qualcosa debba anche a questa scelta qui, del credere, che è questione di cuore.
Ma il cuore tocca sentirlo, non averne paura, trattandolo come uno storpio da compatire o da cacciare. Il cuore, bisogna crederci, per leggere e trovare un pezzo di se stessi.
«Povero mio cuore! Tu ami sì facilmente e sì caldamente, ed oh a quante separazioni sei già stato condannato!»

Le mie prigioni
Silvio Pellico
Mondadori, Milano
Pagg. 217 / € 5,68

Federica Campi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui