Nobel collettivo alle donne africane.NOPPAW sta per NObel Peace Prize for African Women. Nobel per la pace alle donne africane. Avete letto bene. Donne al plurale. Non il Nobel ad una singola donna africana, ma a tutte le donne africane. Una sorta di Festa della Donna del Continente Nero con tanto di Nobel collettivo al posto della mimosa. E non è un pesce d’Aprile.

La straordinaria proposta, nata in Senegal, a Dakar, durante un seminario internazionale per un nuovo patto di solidarietà tra Europa e Africa tenutosi alla fine del 2008, è promossa dal CISPI (Coordinamento di 48 associazioni di solidarietà internazionale) e da Chiama L’Africa che insieme si occupano della campagna di supporto all’iniziativa, della raccolta fondi e soprattutto della raccolta firme.

Affinché, infatti, la proposta arrivi ad Oslo, sede del premio Nobel, si dovranno raggiungere almeno 2 milioni di firme che poi verranno inviate al comitato che ne deciderà l’assegnazione. Al momento le sottoscrizioni hanno superato le 26.900 unità, ma la cifra continua a crescere.

La proposta nasce dal riconoscimento del ruolo trainante della figura femminile nell’economia e nella società africana, dove le donne controllano il 70% della produzione agricola, attraverso l’organizzazione di piccole cooperative, producendo l’80% dei beni di consumo e assicurando per il 90% la loro commercializzazione. Il tutto in un processo organizzativo tutto al femminile, dove è fondamentale la collaborazione, l’unione e il rispetto reciproco. Alla faccia di Porter e dei suoi schemini sulla catena del valore.

Le donne africane sono oggi le protagoniste di quella che viene definita “finanza informale”, occupandosi della gestione delle risorse economiche anche se in molte comunità non possono possedere beni, rimediando così al totale disinteresse o assenza degli uomini impegnati nelle guerre locali. Grazie al microcredito molte donne sono riuscite a creare piccole cooperative non solo agricole, ma anche commerciali o legate all’istruzione, dimostrando le loro qualità nella gestione delle finanze e il loro sapersi “ingegnare” spesso in condizioni di emergenza. La forma più famosa di microcredito è quello delle “tontine”, una tra le istituzioni finanziarie informali più diffuse in Africa, di origine però italiana. Fu infatti il banchiere napoletano Lorenzo Tonti ad introdurre nel 1653 l’utilizzo della “tontina” come formula associativa che prevedeva una quota d’ingresso che andava a costituire un capitale fruttifero. Tutti i partecipanti potevano così godere degli utili, derivati dall’investimento di questo capitale, fino alla loro morte, al momento della quale la quota di capitale veniva ripartita fra i restanti appartenenti alla tontina.

Tontine africane.Oggi, in genere, le “tontine” (cioè le donne africane che aderiscono a queste forme di finanziamento) si riuniscono in gruppi e versano periodicamente una somma di denaro prefissata. A turno ognuna di loro beneficerà dell’intera somma raccolta, disponendo così all’occasione di una quantità di denaro di cui non avrebbe potuto disporre da sola. Nella scelta della beneficiaria avranno inoltre priorità le donne che vogliono sposarsi o sono in dolce attesa. Il ruolo delle “tontine” non è però solo “finanziario”, questi gruppi di donne rappresentano, infatti, anche un punto di riferimento per la loro comunità promuovendo la solidarietà e l’assistenza in aree dove la previdenza sociale è inesistente. All’interno di questi gruppi, che possono nascere nel quartiere, al lavoro o al mercato (le più diffuse si sono create fra vagliatrici di miglio e lavandaie) vi è, inoltre, una “mère” che ha il compito di vigilare sul rispetto dei vincoli, solitamente non scritti, presi alla stipula di questa forma di microcredito.
Che si chiamino tontine nei paesi francofoni, djanggis in Camerun, osusu in Gambia, shaloogo in Somalia, o muvandimwe in Ruanda queste forme di finanziamento dal basso dimostrano che l’arte di arrangiarsi è femmina.

Le donne africane sono in primo piano anche nella politica, lottando ogni giorno per la pace e supportando processi di democratizzazione, mettendo a rischio la loro stessa vita in paesi spesso segnati da un forte maschilismo e da corruzione. Del resto secondo uno studio dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del 2006 che si occupa di misurare il potere politico ed economico delle donne in 162 paesi, intitolato “Sviluppo, istituzioni e genere”, più potere hanno le donne e maggiore è il successo economico di un paese.

In regioni dove c’è una guerra in corso, le donne stanno, quindi, prendendo il posto degli uomini. Esempi eclatanti sono il Ruanda, oggi diventato il primo paese al mondo con maggioranza di donne al parlamento e la Liberia dove il presidente Ellen Johnson Sirleaf è la prima donna nera nel mondo presidente di uno stato e anche la prima donna eletta come capo di stato in Africa.

Johnson SirleafQuest’anno la Johnson Sirleaf ha vinto il Premio africano per la parità tra sessi (African Gender Award, A.G.A) del Centro panafricano per la parità tra i generi, la pace e lo sviluppo per aver applicato in Liberia le convenzioni internazionali sulle pari opportunità ed essersi fatta promotrice dei diritti delle donne.

Le donne africane sono inoltre in prima linea nella lotta contro le pratiche dell’infibulazione e dalle mutilazioni genitali e sono promotrici di campagne in difesa della salute attraverso un impegno capillare di formazione sanitaria nei villaggi soprattutto contro la malaria e il virus dell’HIV che ogni anno uccidono centinaia di migliaia di bambini in tutto il continente.
La stessa Ellen Johnson Sirleaf, durante la sua campagna elettorale, descriveva la Liberia come un bambino malato che aveva bisogno delle sue cure. Una metafora che può essere allargata a tutto il continente africano e a tutte le sue donne che se ne prendono cura giorno dopo giorno.

Le donne africane camminano ogni giorno percorrendo chilometri per raggiungere la più vicina fonte di acqua potabile, il mercato, il campo di lavoro, le scuole per quelle più fortunate. Le donne africane camminano trainando il loro continente e lo fanno sorridendo e cantando. Piccoli e grandi traguardi raggiunti un passo dopo l’altro, guardando sempre avanti. Tutte insieme in uno sforzo comune e solidale che va riconosciuto e premiato.

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