James BlakeQuando per la prima volta, qualche tempo fa, ho visto il volto di James Blake, sulla pagina di una delle mie riviste musicali preferite, sulle prime ho pensato alla pubblicità di una marca glam nel panorama della moda giovane.

La foto mi ha fatto subito pensare ad un modello ingaggiato dalla maison Calvin Klein, uno di quelli con lo sguardo triste e un po’ perso nel vuoto. Non so se davvero la prima impressione può o deve contare qualche cosa, ma sta di fatto che dopo alcuni ascolti del suo omonimo album d’esordio dentro di me è maturata la convinzione che potevo serenamente (e senza alcun rimpianto futuro) escludere mister Blake dalla lista dei cantanti che vorrei a cantare il giorno del mio matrimonio.

Atmosfere dominate da sonorità dubstep fortemente rallentate e dilatate; silenzi che diventano improvvisamente parte del tessuto sonoro intessuto dal giovane artista londinese. Ogni trama viene impreziosita elettronicamente da riverberi, ritardi, distorsioni; il sintetizzatore Prophet 08 acquista in questo modo la stessa importanza dello Steinway&Sons con cui James ama accompagnarsi.

A dispetto della sua giovane età – James è appena ventiduenne – la sua sua voce densa e matura, che a tratti ricorda il grande Antony Hegarty, arriva dritta al cuore ed evoca immagini e sensazioni vissute ascoltando i cantanti della tradizione r&b americana.
James Blake potrebbe comodamente essere uno capace di guidare una rivoluzione. Anzi, a pensarci bene l’ha già avviata.
E’ un pianista di formazione classica che non accetta di essere etichettato e circoscritto. Non accetta di essere semplicemente un pianista jazz, anche se adora il virtuosismo e la musica Art Tatum. Si arrabbia quando lo descrivono un musicista con una formazione classica, eppure in gioventù ha letteralmente consumato i dischi di Erik Satie. E tanto meno gradisce la definizione di cantante “soul” che tutta la stampa in questi ultimi mesi sta cercando di incollargli addosso.

Per sua stessa ammissione James è un musicista atipico. Sviluppa un modulo compositivo e produce 4-5 brani ogni volta, quanto basta per dare alle stampe un Ep (è successo con Klavierwerk, Cmyk, The Bells Sketch). Poi con la stessa facilità viene sopraffatto dalla noia, si stanca di quel modulo e arriva ben presto a sviluppare un diverso modo di lavorare e di comporre.
James Blake è un artista completo (compositore, dee jay, pianista, produttore, cantante) che riesce a mettere d’accordo tutti unendo in perfetta sinergia anima e tecnologia, tradizione e sonorità attuali, atmosfere rarefatte e una vocalità spessa e ruvidamente concreta. Credo che molti altri lo seguiranno, la rivoluzione è avviata.

E dopo l’ennesimo ascolto del suo scurissimo album d’esordio io credo di poterci ripensare. Fosse ancora dell’idea di voler cantare al mio matrimonio io ce lo vorrei. Eccome.

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3 Commenti

  1. Due cose ho trovato bizzarre: l’idea di James Blake cantante ai matrimoni ed il fatto che tu pensi al tuo di matrimonio… Ma nel caso convolassi a nozze e facessi una scelta così lussuosa per la colonna sonora, vorrei proprio essere tra gli invitati! Magari, qualcuno dei nostri amici troverebbe James noioso (ma, tranquillo, non tanto da arrivare al taglio delle vene o alla defenestrazione) ma molti altri, ed io in particolare, sarebbero rapiti dalla magia di questa voce.

  2. Interessante, sia nell’estetica musicale, molto personale, che in quella video. Però eviterei di chiamarlo al matrimonio, a meno di voler finire sul giornale in prima pagina con titoli del tipo: “Misterioso suicidio di massa ad un matrimonio”. Queste cose le fanno le sette negli Stati Uniti, lasciamoli a loro, ‘sti primati…

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