Sandro PerriSandro Perri, nome che più italiano davvero non si può, è un cantante, compositore, poli strumentista canadese, cresciuto anche artisticamente a Toronto, che ha recentemente guadagnato l’attenzione del circo mediatico musicale, bloggers in testa, grazie all’uscita dell’album “Impossible spaces”. (Constellation Records)

E se il suo vero nome non vi dice nulla, magari vi siete imbattuti in uno dei suoi numerosi e fantasiosi monikers. Glissandro ’70, oppure Polmo Polpo o ancora Continuos Dick; ognuno di loro corrispondente ad un preciso progetto musicale. Grazie alle sue svariate identità il nostro Sandro può così permettersi il lusso di affrontare il periplo di spazi pressocché impossibili e dar sfogo così al suo eclettismo di sperimentatore. Non a caso Sandro proviene, artisticamente parlando, dalla Tranzac Community di Toronto, un collettivo no-profit di artisti che fanno base nella città canadese e che si propone, senza confini, di promuovere ogni forma di arte ed esponendola ad ogni possibile contaminazione.
Impossible Spaces” è il vivido riflesso di ciò che Sandro ha tentato di fare durante la prima fase della sua carriera, (non necessariamente conclusa), quella più esplorativa e sperimentale. E’ la brillante summa delle influenze, delle passioni e delle riflessioni del nostro Sandro. Il disco offre una manciata di brani, decisamente ben calibrati, dove il rock sfuma spesso e riannoda intrecci tra post a progressive (Changes), l’anima folk abbraccia senza pudore l’elettronica, ogni sorta di rumore, i videogames, le interferenze, perfino un colpo di tosse (Wolfman).
Gli arrangiamenti sono sontuosi, ma sempre privi di manierismo o affettazione. Ogni suono e ogni strumento (e vi assicuro che a parte i fiati non ne manca quasi nessuno) si adagiano uno al fianco dell’altro come in un mosaico bizantino, incastrandosi perfettamente per colore, taglio, intensità, caratura.
Un disco che accontenta i moderni estimatori del dubstep (Futuractive Kid 1&2), senza deludere i nostalgici ammiratori dello scomparso Arthur Russell e nemmeno quelli che sognano da tempo un David Sylvian più allegro e sorridente (Impossible Spaces). Persino il singolo, (Love and light) apparentemente più ruffiano e così ammiccante alle ritmiche della bossa, viene impreziosito e reso inedito da trame inattese, delicatamente confezionate con il loop di un respiro senza spazio né fine.
Ogni ulteriore ascolto di questo prezioso album mi ha regalato dei dettagli che non avevo colto in precedenza: un nuovo suono, un altro strumento, una ennesima inattesa sfumatura.
Gli amici più vicini e sensibili al tema trattato si aspettino in questo Natale un regalo abbastanza scontato. E per fortuna (o purtroppo?) come mestiere non vendo dischi, altrimenti sarei ancora là, nel mio negozietto, smarrito tra gli scatoloni appena consegnati dal corriere, ben oltre l’orario di chiusura, a tentare di collocare “Impossible spaces” nello scaffale appropriato, senza nessuna apparente possibilità di riuscita. Nomen omen?

[youtube G7AC3FgI1Aw 520]

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