Il Portogallo ha appena celebrato, il 25 aprile, l’anniversario della Liberazione (datata 1974) dalla dittatura fascista di Antonio de Oliveira Salazar (e nell’ultimo periodo di Marcelo Caetano). Quarantotto anni di buio e di un lento ritorno alla luce sulle note di una canzone e la voce di un artista straordinario, Josè Afonso, detto Zeca. A lui dedico questa puntata, omaggiato da tutti, fadisti e non.

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Josè Manuel Cerqueira Afonso dos Santos, per tutti Zeca, era nato ad Aveiro nel 1929 e la sua vita ha risentito molto della situazione politica del Paese: famiglia antifascista, lui stesso da subito nei movimenti antigovernativi, ha vissuto molti anni della sua adolescenza all’estero, con i genitori esiliati, ed è tornato definitivamente in Portogallo solo nel 1940, scegliendo come sua sede Coimbra e la straordinaria vita accademica che in quel periodo si svolgeva, con associazioni giovanili e patriottiche che da dentro cercavano di snaturare il regime. Ma lui era soprattutto un poeta e un musicista e il fado di Coimbra gli cresceva dentro.

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Fra un arresto e l’altro della tremenda Pide, la polizia politica di Salazar, Afonso scrive nel 1958 il suo primo disco, “baladas de Coimbra”, e più tardi pubblicherà il primo album, “Baladas e Cançoes“. Ne seguono altri uniti a una serie di concerti in giro per il Paese. Quello di Grandola, nell’Alentejo (maggio ’64) lo colpisce particolarmente: è ospite della Sociedade Musical Fraternidade Operaria Grandolense, e la sua “musica di battaglia” colpisce particolarmente. Nell’album “Cantigas de Maio” (1971) incide “Grandola, Vila Morena” e sarà la sua canzone simbolo perché il 24 aprile 1974, a mezzanotte, gli oppositori entrarono a Lisbona cantandola e ci fa la Rivoluzione dei garofani, con la democrazia che tornò nel Paese con pochissimo spargimento di sangue.
Zeca divenne l’idolo di tutti gli artisti, appoggiò i partiti della sinistra e continuò a scrivere dischi meravigliosi, ma una grave malattia lo colpì presto. L’ultimo suo concerto è al Coliseu di Lisbona nel 1985, due anni dopo la morte, a Setubal, a soli 58 anni.

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Fino a qui una biografia a grandi linee. Dire tutto ciò che vorremmo e che Josè Afonso merita ci porterebbe via molto spazio e tanto tempo. Meglio andare a cercare nella sua musica, a capire che cosa ha fatto e cosa ci ha lasciato questo grande uomo e artista. Nel ventennale della morte fu un italiano, il nostro amico Davide Zaccaria, ad avere l’idea di un omaggio musicale. Con il suo gruppo “Terra d’Agua” produsse
“Terra de Zeca” e venne anche da noi, ospite del festival “Sete sois sete luas”. Davide, da italiano, affrontò un lato di Afonso meno famoso: quello delle canzoni popolari e d’amore, tralasciando il lato politico per non cadere in inutili demagogie. Ma sono tanti gli artisti che lo ricordano con incisioni e apparizioni dal vivo.

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Abbiamo solo da scegliere: dai fadisti di Coimbra agli accademici della città della Beira, da Dulce Pontes a Paulo Cavaco, da Paulo de Carvalho a Vitorino e tanti altri. E per ognuno di loro, c’è da ricordare Zeca con uan canzone particolare, con una interpretazione specifica. Da “Os Indios da Meia-Pria” a “Cançao da embalar” a “Que amor nao me engana” e mille altre bisogna trovare il gusto per riscoprire questo autore che è importante da ogni punto di vista nella cultura popolare non solo portoghese. Ricordo, a Coimbra, di fronte alla Sé la targa in azulejos per ricordare dov’egli aveva vissuto.

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Ma se proprio devo ricordare un momento particolare, non posso che ritornare alla mezzanotte del 24 aprile 2004, trent’anni dalla Rivoluzione. Nella piazza dell’Alfama di fronte al Museu do fado, sotto lo Chafariz de Dentro, il fontanone pubblico che dà nome al largo, stavamo ascoltando il concerto di un trovador organizzato nelle manifestazioni di ricordo, quando arrivò una processione di candele e lanterne i cui partecipanti cantavano “Grandola, Vila Morena” nello stesso momento in cui anche il chitarrista la cominciava a suonare. Anche a me, straniero, quel suono, quei versi, il ricordo di Zeca, dettero le lacrime. Così è stato, mi dicono, anche qualche giorno fa.

1 commento

  1. Le inesattezze sono molte,troppe.
    Dice l’autore che Zeca tornò in Portogallo solo nel 1940,”scegliendo come sua sede Coimbra e la straordinaria vita accademica che vi si svolgeva”: va bene santificarlo,perchè Jose Afonso merita questo ed altro,ma o pequenino no 1940, aveva solo 11 anni e non poteva ancora fare tutto ciò che l’autore si immagina o si inventa.Tralascio altre cose inesatte e insensate solo per amor di patria.
    Sono stato a portare un garofano sulla tomba di Zeca, a Setúbal, l’8 giugno di quest’anno.Quando ci ritornerò gli chiederò scusa anche per l’autore.

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