Lisbona città incantata, magica, sempre diversa. Ho appena letto “Sono stato a Lisbona e ho pensato a te”, del brasiliano Luiz Ruffato (edizioni La Nuova frontiera) e lo consiglio vivamente per le sue atmosfere, i suoi colori, la descrizione delle sue strade. Ci provo un po’ anch’io.

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“La stava aspettando in fondo al Beco do Espirito Santo. Il largo dello Chafariz de Dentro a quell’ora era ancora semivuoto, uscivano i lavoranti delle trattorie della zona e c’era qualche turista che entrava al Museu do fado. Ma il quartiere si sarebbe riempito sicuramente di lì a poco. Lei aveva finito il suo turno da O Beco, la trattoria dove l’aveva conosciuta. Si era fermato lì perché un amico gli aveva detto che facevano uno splendido piatto di baccalà e lo aveva voluto provare. Lo “Espiritual” era così buono che c’era tornato più volte e aveva attratto l’attenzione della cameriera, che sembrava timida e modesta nei suoi movimenti, ma capace a gestire da sola la sala. A sua volta ne era stato attratto in modo via via sempre più stretto. Aveva poi scoperto che oltre ad essere la lavorante era anche la figlia della cuoca e la nipote dell’anziana signora che ancora ogni tanto preparava la pastella per le frittelle di baccalà. Aveva mangiato tanto al Beco, ma alla fine era riuscito in quella conquista che in partenza gli era sembrata così ardua. Lei arrivava sorridente a quell’appuntamento che ormai era solito. Lui aveva finito il suo turno di lavoro in ufficio e avevano alcune ore ogni pomeriggio per stare assieme. Lei sarebbe tornata da mamma e nonna per il turno serale, lui sarebbe andato a sentire un po’ di fado e l’avrebbe aspettata prima possibile.

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“Quel pomeriggio Lisbona era bella anche più del solito: la primavera allungava le sue ombre fino a tardi, il sole cominciava a picchiare e i chioschi vivevano la loro giornata con tanta gente che si riparava sotto gli ombrelloni a trastullarsi un po’, a bere un succo d’arancia o una birra gelata magari con qualche stuzzichino. I due ragazzi salirono al Miradouro de Santa Luzia, alla chiesa dell’Ordine di Malta, alle panchine infiorate che danno sui tetti dell’Alfama e sul Tejo. La vista su Sao Vicente, alla loro sinistra, estasiava gli animi. Era uno dei luoghi preferiti. Lui ricordava di averla portata a passeggiare lì la prima volta che le chiese se accettava di bere qualcosa assieme a lui. Gli era piaciuto sempre quel luogo, che frequentava anche da solo perché amava vedere il bianco del quartiere sul porto e allo stesso modo lo incuriosiva la parte sud della sponda dove ferveva l’attività industriale, dove si vedevano ciminiere e fabbricone e dove i traghetti ogni dieci minuti portavano gli abitanti che non potevano permettersi una casa a Lisbona e che quindi erano pendolari di qua e di là dal Mar de Palha. Gli sembrava, da quassù, che Lisbona avesse un movimento ancora maggiore, non fosse placidamente assorta come a volte poteva sembrare guardandola da questa parte.

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“La guardò molte volte, parlavano e sorridevano, molto, si tenevano per mano. Non amavano le smancerie in pubblico, ma cercavano di cementare quel loro rapporto nella complicità e nella verità del loro dirsi tutto. Lui usciva da una storia rancorosa, lei era abbastanza giovane per non avere ancora sofferto le ingratitudini della vita. Lui riteneva che quella città, che lo aveva visto nascere e crescere pur se figlio di immigrati dalla Beira, avesse un qualcosa in più, e lo comunicasse. Guardò ancora il fiume e cercò di portare anche lo sguardo della sua compagna sullo scorrere lento, molto lento, dell’acqua verso l’oceano. Pensava ai giorni in cui ancora non sapeva che l’avrebbe incontrata. Pensava alle sue passeggiate su è giù per le colline, ai localini che amava frequentare, agli occhi che incontrava, alle paste che mangiava. Pensava a quel suono della guitarra che aveva imparato a riconoscere fra mille. Su rua Augusta, talvolta, era seduto a elemosinare un anziano suonatore di guitarra portuguesa. L’ultima volta che l’aveva visto si era accorto che al suo strumento mancava una coppia di corde. Ma il vecchio suonava lo stesso e forse neppure più sapeva cosa. Ma lo stette ad ascoltare a lungo e lo ringraziò con un obolo e un complimento. Non si saprà mai quale delle due cose fece più piacere all’antico musicista.

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“Quando si riebbe da quelle sensazioni, capì che il suo spirito viaggiava con il ritmo della città, quello che ormai aveva consolidato in sé. La sua ragazza lo guardava e capì quale doveva essere il pensiero che lui in quel momento stava soppesando. Forse la loro storia era cominciata e decollava proprio per quello: anche quando stavano in silenzio – pur nel loro continuo chiacchierare – i loro sensi si concentravano su un qualcosa che entrambi sentivano molto forte. Lisbona per lui era il coronamento di un sogno, per lei la vita stessa (non aveva conosciuto quasi altro, si può dire). E quando, al Miradouro, lui fece per dirigersi con le proprie labbra su quelle dell’amata, lei lo fermò col palmo della mano e disse semplicemente: conosco un posto migliore…”.
(continuerà…)

Ps: i fatti raccontati sono puramente casuali, sono solo frutto della immaginazione e della ispirazione che dà Lisbona. Ma possono accadere quando ci si trova di fronte una città così. Ah, dimenticavo. Leggere e ascoltare al contempo quattro voci come quelle presenti e un’altra gioia che passeggiando per Lisbona ti rincorre e riempie il cuore. Misia con la doppia guitarra portuguesa come Amalia, Carminho e la sua voce fresca, Bevinda che canta il guardiano delle greggi di Pessoa e Katia alle prese con il miglior Mourao-Ferreira…

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