Qualche tempo fa ho guardato Quarto Potere di Orson Welles. La lotta al mio interno è stata così forte che la prima reazione è stata quella di non capire. Una sorta di cecità intellettuale a fronte della presa di coscienza di come ciascuno di noi possa essere manipolato e arrivare a dire di sì solo perchè dire di no è troppo doloroso: affermare la propria volontà vuol dire lottare, faticare, negoziare. Il discorso è quanto mai attuale: ne discutevo qualche giorno fa con una persona in merito alla legge Levi. Che motivo c’è di ridurre gli sconti sui libri? Che gliene viene a chi ci governa? Welles rispose rigorosamente a questa domanda: controlla la cultura e avrai in mano le coscienze. Credo fosse per questo che non riuscivo a capire la portata comunicativa di quel film. Perchè per me va da sè che la coscienza personale non si può imbrigliare.
Agli effetti il più delle volte dire No sembra una bestemmia, può provocare sensi di colpa, può demolire la relazione, creare senso di ansietà. Io che mi oppongo a una cosa che ritengo ingiusta alla fine mi sento dalla parte del torto, stante una manipolazione forte.
Qualche tempo fa trovai un testo di psicologia che mi aiutò molto a capire che il No quando è necessario, va detto perchè è benefico; o va a colpire proprio la nostra libertà interiore. Il No positivo di William Ury ci spiega che la dinamica del No è più complessa di quella del Sì perchè presuppone idee chiare, volontà allenata e saper dire le cose in modo efficace. L’autore invita a prendere in considerazione dall’inizio della lettura una situazione a cui non sappiamo come dire di no, ma che assolutamente non vogliamo. E’ proprio quella che ci destabilizza! Ed è proprio quella che prima risolvo, migliore saranno le relazioni verso me stessa e poi verso gli altri.
Questo concetto ha molto di attuale: non sono d’accordo che il governo fissi un tetto di scontistica per i libri. Che farò? Piano A: ne scrivo, sensibilizzo, promuovo la causa. Non è bastato: ok, faccio il pieno di libri scontati prima della data fatidica e mi impegno a che le biblioteche ricevano più sovvenzioni e più pubblicizzazione perchè ciascuno possa avere accesso a tutti i testi che cerca. Questa è la visione pratica di chi ragiona volendo attuare un No positivo. Un No che non sia l’antitesi del Si, ma che sottenda la volontà di creare con un No. Pensiamoci: quante volte distruggiamo con il nostro NO? Il mio capoufficio mi da del lavoro extra per il fine settimana? Io lo odierò perchè avevo dei programmi con la famiglia. Questo è un No negativo, perchè innesca una volontà di distruzione. Andate in galleria dice Ury, uscite dalla scena e guardatevi da un’altra prospettiva: vi sembra che stiate costruendo una relazione basata sulla dignità? State rispettando voi stessi e il vostro interlocutore? Affatto. Occorre dire la verità allora! Ma come? Magari aveva in programma di darmi un aumento e così me lo gioco? Nella scala di valori cosa viene prima, la mia famiglia o il lavoro? Intendiamoci: non è questione di moralismi, ma puramente di ciò che si vuole per davvero. Per cui se un valore dentro di me è pregnante negarlo significherà soffrire. Se lo voglio davvero occorre che io pianifichi il mio comportamente in vista della mia scelta, secondo il filo rosso di un’integrità interiore.
Una lettura che avvolge, eppure un training faticosissimo per comprendere che dire No è assai più complicato che assentire. Un No proattivo è in grado di innescare una rivoluzione sociale perchè parte da una volontà di affermazione della persona, dimostrando come l’indolenza e il continuo piangersi addosso non fanno che complicare le relazioni.
William Ury
Il No positivo
Edizioni Tea Professional