Museo, che parolone.
Paùl mi è sembrato un tipo abbastanza intraprendente (anche se nella nostra prima serata insieme mi ha portato al cinema a vedere The Black Swan in lingua originale e successivamente a mangiare i migliori hot dog della capitale) tanto che mi sono fatto forza ed una mattina ho seguito il suo consiglio: non perdermi il Museo di Metà Mondo per nessun motivo al mondo. D’accordo, prometto che non userò più la parola mondo se non per spiegare che nelle lingue tsa’fiki e cha’fiki Quito, capitale dell’Ecuador, significa appunto “metà mondo” (Qui= metà, To=Terra).
Scendo dal pullman ed attorno non c’è nulla. Poi, guardando bene, da un albero penzola un cartello di legno: Museo Mitad del Mundo. Il cielo lancia un chiaro messaggio: se proverò ad effettuare l’ingresso al museo verrò punito da un diluvio universale. Non so perché l’ho presa così sul personale. Fatto sta che, petto in fuori, entro al museo guardando il cielo con aria di superiorità. Diluvio universale. L’ultima goccia mi avvisa che, d’ora in avanti, dal cielo non cadrà più niente. Ma il terreno potrebbe essere impraticabile. Esco da sotto la finta capanna di legno nella quale mi ero riparato e, guardando in alto, chiedo subito scusa per la precedente mia impennata di carattere. Sono quattordici mesi che non vedo mio padre ed il cielo s’è appena comportato come lui. Sento che c’è qualcosa di grosso attorno a questo ragionamento. Sono quasi arrivato a smascherare la cospirazione del cosmo quando un venditore di empanadas appollaiato all’ingresso del museo fa crollare l’intero mio percorso mentale, chiedendomi se ho fame. Mi accerto solo che il ripieno non sia di carne, presa. Sono pochi i momenti in cui non ho fame, posso mangiare sempre e dovunque riuscendo a mantenere il soliti pressoché settanta chili. Ma Dio non regala niente, forse morirò presto. Insomma, oggi sono positivo.
Una ragazza, che fino poco fa pareva perfettamente vestita da turista, esce allo scoperto: è Angelina, la nostra guida. Iniziano ad emergere cinesi nascosti nella vegetazione. Di venti che sono nessuno parla una lingua compresa tra inglese, francese, spagnolo, italiano, portoghese, tedesco, romagnolo (fa numero) e russo. Però sorridono tutti, è divertente.
Dopo le solite spiegazioni storico-culturali arriviamo alla parte finale del museo in cui una linea rossa, tracciata alla perfezione con l’aiuto di un sistema satellitare, delimita la metà precisa del mondo, ovvero il punto in cui le due correnti si annullano. Qui la guida inizia a mostrarci una serie di esempi davvero divertenti. Per prima cosa sceglie me come “valletto”. Forse mi ha notato perché ho il naso grosso, o forse semplicemente perché non sono cinese. Fatto sta che mi sprona a posizionare un uovo sulla capocchia di un chiodo situato su un bancale posto proprio sulla linea rossa. Non posso crederci, sento due forze che tirano l’uovo da una parte e dall’altra. Il trucco è posizionarlo perfettamente al centro, lei mi consiglia di farlo ad occhi chiusi per concentrarmi meglio. Alla fine mi riesce, tra lo stupore del gruppo di asiatici. Banzai.
Successivamente Angelina mi porta sulla linea e mi fa sollevare le braccia, me le blocca con le sue e mi ordina di spingere verso il basso con tutta la mia forza. Impossibile. Angelina pesa quaranta chili. Spiega a tutti che in quel punto preciso la resistenza è praticamente annullata, ma la forza no. Banzai generale, volume due.
Poi ci sarebbe la camminata sulla linea ad occhi chiusi, dove andare dritti è impossibile, ma perde d’importanza in quanto preceduta da quello che tutti si aspettavano:
La guida riempie d’acqua un lavandino portatile e successivamente toglie il tappo per far scorrere il liquido verso il basso. A pochi metri dalla linea, sulla parte destra del museo, l’acqua gira verso sinistra. L’opposto si verifica nella parte sinistra. Ma quando la bacinella è posta precisamente sulla linea l’acqua scende verso il basso senza la minima rotazione.
Peccato non ci fosse nemmeno un americano.
Loro vanno pazzi per i fondamentalismi.