C’era una volta un cinema italiano che faceva i conti con i tanti misteri e gli oscuri fatti di cronaca che hanno riempito la storia del nostro Paese. Mi riferisco ad Autori come Francesco Rosi (Il Caso Mattei e Salvatore Giuliano), Giuseppe Ferrara (Il caso Moro e Cento giorni a Palermo sull’omicidio Dalla Chiesa), ma anche Elio Petri (con il surreale Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), Marco Risi (Il muro di Gomma sulla tragedia di Ustica), Michele Placido (Un eroe borghese sull’omicidio Ambrosoli), Damiano Damiani (Il delitto Matteotti e tanti altri). Grande Cinema (spesso) che provava a cercare delle verità nascoste sotto la sabbia e squarciare il silenzio che circonda troppi misteri del nostro passato più o meno recente; opere di grandissimo spessore e impegno civile che generavano dibattiti, polemiche e avevano anche la forza di (ri)aprire indagini e inchieste. Film che col tempo si sono diradati sempre più; sarà un caso, ma con l’avvento di tangentopoli e della seconda repubblica di questo tipo di film se ne sono fatti (e visti) sempre meno e, in ogni caso, sono passati troppo sotto silenzio, si pensi agli ottimi Fortapasc (ancora Marco Risi che racconta l’omicidio del giornalista Giancarlo Siani) e  Segreti di stato di Paolo Benvenuti sulla strage di Portella della Ginestra.

Sarà un altro caso, ma ora ne arrivano due nel giro di quindici giorni e già se ne parla tantissimo anche se (quasi) nessuno li ha visti: il primo è Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (uno che quasi venti anni fa aveva già realizzato il notevole Pasolini – Un delitto italiano), il quale ricotruisce, a oltre 40 anni dai fatti, la strage di Piazza Fontana; il secondo è Diaz in cui Daniele Vicari prova a raccontare una delle pagine più buie del nostro recente passato, ovvero l’aggressione delle “forze dell’ordine” ai danni degli occupanti della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. Non si può non apprezzare il fatto che il nostro cinema torni a confrontarsi con queste storie e che non sia solo quello delle commedie an(ti)estetiche o quello medio(cre) “ben” rappresentato da Magnifica presenza, l’ultimo abominevole film di Ozpetek, o quello dei comici televisivi prestati al grande schermo.

Spero che entrambe queste opere trovino spazio nelle sale, nei media e nei dibattiti (anche televisivi) dove in genere si parla di cronaca nera solo se a sfondo morboso. Il film di Vicari ha anche un sottotitolo forte, ma giusto e necessario: Don’t clean up this blood… e allora non resta davvero che auspicare che il sangue non venga lavato via prima dell’accertamento delle tante Verità che aspettano di essere rivelate e che anche il cinema faccia la sua parte.

Ivan il Terribile

 

10 Commenti

  1. ma anche io non ho gli strumenti per confutare il film, ma non per questo devo pensare che tutto ciò che c’è dentro è vero “ipso facto”.
    Inoltre devi avere una locandina diversa dalla mia, perchè in quelle che trovo io sta scritto “La verità esiste” e il completamento “e guardando questo film la scoprirete” non lo trovo, forse perchè sta solo negli occhi di chi guarda. Deve essere una distorsione psicologica, la stessa che a me fa completare quella frase con “e dobbiamo provare a cercarla”.
    Onestamente invece il discorso di Mauro non lo accetto ovvero “Io decido cosa può fare l’Arte e cosa no, io decido che Maria Antonietta può fumarsi le canne nel film della Coppola e proibisco che un regista faccia vedere che alla Diaz le cose siano andate diversamente da come ho deciso io”. Ecco questo sì che lo trovo pericoloso…

  2. Giuro che poi la pianto… ma direi che la cosa che oggi scrive Sofri figlio sul suo blog sia un buon finale per questo scambio di commenti:

    http://www.wittgenstein.it/2012/04/03/che-le-cose-ci-portino-altrove/

    Che le cose ci portino altrove
    Pubblicato il 3 aprile 2012
    Non ho visto “Romanzo di una strage”: tendo a credere alle molte versioni che dicono che sia un buon film, ben fatto, con ricostruzioni eccellenti e tendo a credere alle molte versioni che dicono che contenga delle interpretazioni fuorvianti e delle tesi assurde e scriteriate. Sono in generale molto d’accordo con quanto scrive oggi Ezio Mauro: se fai un film su Maria Antonietta puoi anche inventarti ipotesi creative e palesemente artistiche, se lo fai su una storia che ha ancora dei pezzi da sancire definitivamente e che ha difficoltà a far attecchire quelli sanciti, in un paese in cui queste difficoltà e tensioni ancora muovono un sacco di cose, non te lo puoi permettere. Fareste un film sulla scuola Diaz in cui immaginate che a picchiare i ragazzi siano stati dei vicini di casa genovesi indispettiti dal rumore? O che i poliziotti violenti fossero stati chiamati da Luca Casarini? Dicendo poi che il cinema è arte e non deve fare i conti con la realtà dei fatti?

    Ma nell’espressione “ferita aperta” usata da Mauro non mi interessa solo la parola “aperta”, ovvero che la questione sia ancora così sensibile. Mi interessa anche la parola “ferita”, ovvero che la questione sia ancora così importante. C’è una cosa che mi pare nessuno sottolinei – un po’ Giuliano Ferrara, a suo modo – e che davvero riguarda i più giovani e occupa credo le loro perplessità: è possibile che oggi i protagonisti della politica, dell’informazione, del dibattito storico e intellettuale siano ancora persone che hanno vissuto quegli scontri o che ne hanno ereditato le contrapposizioni, i meccanismi, e i gravami?

    Per quelli che oggi hanno venti o trent’anni è importante sì sapere e capire cose che riguardano il recente passato del loro paese e che ne hanno generato alcune dinamiche attuali, ma sarebbe importante soprattutto superare quelle dinamiche e rimuoverle dall’oggi. Non è normale. Non è normale che le classi dirigenti italiane nel 2012 siano più appassionate e travolte da fossili e ormai intangibili discussioni e accuse e identità che vengono dagli anni Settanta, dai fascismi, dai comunismi, dai partiti della fermezza, dagli opposti estremismi, dalle maggioranze silenziose, eccetera, piuttosto che dalle idee e i fatti della contemporaneità, che ci sono e sono fertili, in altri mondi, in altre generazioni. Non è normale che un film su Piazza Fontana generi cento volte le agitazioni che genera un film sulla scuola Diaz, per rimanere su quest’esempio. Al di là delle mille ovvie differenze, quella che pesa è una: il primo parla delle classi dirigenti italiane, del loro mondo e al loro mondo. Il secondo no.

    E il punto a me pare questo: non che piazza Fontana sia così presente nell’oggi dell’Italia, ma che l’Italia sia così passata nello ieri di piazza Fontana.

  3. E chi le confuterebbe queste tesi, dopo aver visto il film? Io? O un singolo privato cittadino che si è guardato il film? E cosa vuoi che ne sappiamo. Per confutarne le tesi dovremmo leggere tutti gli atti del processo e aver seguito le indagini e testimonianze. Il pericolo di quel film è che presenti una verità tutta sua, spacciandola come unica verità, e che sia un film talmente fatto bene, affascinante e con una bella fotografia che diventi un riferimento culturale sulla vicenda di piazza Fontana per centinaia di migliaia di persone. Sofri le ha confutate le tesi del film ( e prima ancora le tesi del libro da cui è tratto il film) e lo ha fatto in maniera abbastanza definitiva. E lo ha fatto citando fonti e testimonianze, cosa che non ha fatto Cucchiarelli nel suo libro. Io comunque volevo porre l’accento sulla pericolosità di operazioni di questo tipo: non sostengo che siano il male assoluto, e neppure che non ci dovrebbero essere, non l’ho mai scritto e mai lo penserei… ma che almeno non avessero la presunzione di pensare di stare raccontando la vera verità, così come è sottolineato in quella locandina – La verità esiste – e guardando questo film la scoprirete. Molto pericoloso e disonesto. Adriano Sofri: “Questo libriccino ( http://www.43anni.it/ ) dunque non fornisce una ricapitolazione né un’interpretazione complessiva – abbastanza assodata, del resto – della sterminata materia della “strage di Stato”. Vuole invece confutare una tesi dissennata che diventa pigramente, nel medio evo della fiction, la nuova vulgata su Piazza Fontana. La “bomba doppia”: un’assurdità bevuta con naturalezza. Nel film, raccontata come una favola dal poco fiabesco capo degli Affari Riservati D’Amato, la tesi suona, oltre che cervellotica, posticcia, e non ne inficia la narrazione. Nel libro è una onnivora superstizione.”

  4. sì, ma una cosa è, DOPO aver visto il film, confutarne le (ipo)tesi, denunciarne la parzialità, contestarne gli assunti e la documentazione, un’altra (e ben diversa) cosa è sostenere che cinema (e televisione e altri mass-media) NON devono entrare in certe questioni a prescindere e lasciare che la Verità venga cercata (per modo di dire) solo nelle apposite sedi.
    ancor peggio sostenere che “la verità storica è stata sostituita da quella televisiva/cinematografica”. eh già… e quale sarebbe la verità storica su ustica (per dirne una)? e quale invece quella disonesta (!!) inventata da cinema e tv? così per dire…

  5. Dal blog di Luca Sofri:
    Sofri, quello anziano, ha spiegato per bene quanto è maldestra la ricostruzione su Piazza Fontana che viene diffusa in questi giorni. In una specie di libro, che si può scaricare qui. http://www.43anni.it/

  6. e invece secondo me un po’ di confusione c’è perchè non è che ogni film per il semplice fatto di mettere dentro Moro vuole essere la Verità sul caso Moro… tanto è vero che quella di Bellocchio è un’operazione palesemente antistorica (si veda il finale…) che vuole restituire atmosfere e emozioni, ma che mi sembra molto lontana dal voler raccontare qualsivoglia Verità. e, di sicuro, NON è un film inchiesta.
    Idem, per capirsi, Il Divo, opera eccezionale in cui c’è Andreotti, ma nella personale visione del suo Autore. ma anche questo NON è un film inchiesta.
    stesso discorso per Romanzo criminale e Vallanzasca, film che partendo da personaggi e fatti storici, ne diventano poi qualcosa che assomiglia molto di più a gangster movie, appunto accentuandone alcuni aspetti drammatici e allontanandosi clamorosamente dalla struttura del film inchiesta (e per quanto mi riguarda anche con notevoli risultati).
    personalmente non ci trovo niente di male nel cinema che legge a modo suo storie e personaggi, mentre mi preoccupa una società che delega in bianco la ricerca di certe questioni agli organi ufficiali ed è quindi disposta a bersi qualsiasi versione ufficiale dei fatti (Pinelli che si butta giù dalla finestra, Pasolini ucciso da Pelosi, Calvi suicidato, etc…).
    L’unico che in televisione mi pare abbia cercato di capire meglio certe storie è stato Lucarelli, però su raitre a notte fonda…e ho detto tutto

  7. Non sono d’accordo… la televisione e il cinema anche negli ultimi anni si sono occupati entrambi di questioni che hanno avuto a che fare con la nostra storia, con eventi tragici, ancora irrisolti… spesso dandone un’immagine distorta. Penso al complesso “Romanzo criminale” dico complesso, perché così carico di fascino da permeare personaggi e storie di un’aurea misteriosa e pericolosa e attraente, inutile ricordare qui il fascino che esercita il cattivo, soprattutto se interpretato da attori bellissimi. Ma penso anche alle fiction in cui si sono raccontate le vicende di Riina e Provenzano oppure uno degli ultimi film di Michele Placido, quello su Vallanzasca, e ancora il film con Scamarcio e la Mezzogiorno, di cui ora non ricordo il titolo. E poi quello di Bellocchio sul rapimento Moro (forse il momento più alto di cinema impegnato di questi ultimi anni). Sto andando a memoria… chissà quanti altri ci sono stati. Tutti questi film sono inseriti in un contesto culturale in cui non ci sono più analisi, in cui a scuola non si parla di fatti contemporanei. La storia degli ultimi cinquant’anni è ormai affidata alla fiction (che può essere di grande qualità e di bassa qualità, ovviamente) ma che rappresenta comunque un mezzo che è per sua natura pericoloso, soprattutto se le viene dato il compito di interpretare la realtà, se solo a lei viene lasciato l’arduo compito di raccontarci il presente. La colpa è chiaro che non sia né della televisione né del cinema, ma del vuoto culturale in cui siamo sprofondati. Spero di non essere stato troppo apocalittico e confusionario:-)

  8. personalmente non credo che Giordana pensi di avere la verità in tasca (e non sono sicuro che la frasetta sia opera sua nè che il significato sia “Ecco, questa è la verità”); quello che mi interessa non è che il cinema diventi la verità (paradossale per un’arte che è finzione per definizione), ma che il cinema possa provare a portare un po’ di luce su fatti ed eventi che altrimenti resterebbero pericolosamente nell’ombra; ripeto, un tempo questa funzione il nostro cinema ce l’aveva, ora molto meno… e la televisione non si è praticamente mai occupata di queste cose negli ultimi trent’anni; le uniche verità cercate sono quelle su Cogne, Parolisi e Amanda Knox…

  9. La risposta di Stajano di oggi all’articolo di “difesa” di Marco Tullio Giordana sul Corriere della Sera.

    Marco Tullio Giordana ha scritto una bella recensione al suo film. Purtroppo quando l’ho visto, lunedì mattina al cinema Apollo di Milano, sono rimasto deluso. E non avevo certo pregiudizi, soltanto curiosità anche perché mi era piaciuto molto soprattutto il suo «I cento passi».
    Sono tante le cose che mancano nel «Romanzo di una strage», quelle di troppo e quelle non corrispondenti alla realtà. Se Giordana avesse fatto di «piazza Fontana» una tragedia greca, con personaggi immaginari, avrebbe potuto dire quel che voleva. Ma ha imboccato la via del realismo nutrita di finzione. È questo il tranello in cui non sono caduti né Francesco Rosi né Gillo Pontecorvo nei loro grandi film.
    Il libro di Cucchiarelli, da cui il film è «liberamente tratto», non è un «cavillo contrattuale», come dice il regista, ma una palla al piede. È doloroso, per chi ha vissuto quella stagione sanguinante, vedere rappresentati di nuovo i doppi estremismi, i neri e i rossi di comodo.
    Ad ogni modo tanti auguri, sperando che i ragazzi di oggi capiscano quel che successe allora.

  10. Il film (romanzo di una strage) ha ricevuto numerose critiche, molto aspre e definitive. SI dice che sia basato su teorie e fonti non verificabili e del tutto inattendibili. Ne ha scritto tra gli altri Sofri, Boatti, Stajano sostenendo che il film, che è tratto dal libro di Cucchiarelli sia “una ferragine di errori di fatto”. Ora, io non so come stiano le cose ma mi lascia molto perplesso quella frasetta che campeggia nella locandina: LA VERITÀ ESISTE. E sarebbe affidata a un film? Molto pericoloso come atteggiamento, profondamente disonesto ma perfettamente in linea con gli ultimi trent’anni, in cui la verità storica è stata sostituita da quella televisiva/cinematografica.

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