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Premessa

Africa. Sono stato catapultato in questa terra circa un mese e mezzo fa e ancora faccio fatica a raccapezzarci qualcosa, che significato hanno questi luoghi assurdi? Cosa nascondono questi volti misteriosi? Un mondo finora solo immaginato si apre davanti ai miei occhi e mi chiede di essere ascoltato, di essere compreso nelle sue differenze e nei suoi paradossi.

­Il problema è che parla una lingua a me incomprensibile.

Sono un piccolo alieno bianco sbarcato da lontano che ignora totalmente quello che lo circonda, così non mi resta che curiosare in giro, cercare delle risposte, imparare, sbagliare, ipotizzare, dubitare, criticare, trarre delle conclusioni per poi contrastarle tutte nel giro di qualche minuto. Ma ciò che preferisco fare la maggior parte delle volte è starmene semplicemente seduto in disparte a osservare discretamente quello che succede e fra me e me farci qualche risata sopra.

Pagine e pagine di inchiostro si stanno accumulando nel mio diario senza trovare una via d’uscita, sono intrappolato in un labirinto di stimoli culturali che si sbattono contro la mia faccia come grandissimi punti interrogativi. Non trovo risposte adatte a spiegare tutto questo, mi chiedo come sia possibile che tanto splendore e tante sciagure riescano a convivere nel medesimo istante. Sono un osservatore inerme senza soluzioni e senza pretese, scatto qualche foto, prendo nota, continuo a camminare.

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Ho capito che non esiste nient’altro al mondo come l’esperienza personale vissuta sulla propria pelle in grado di esprimere con tanta chiarezza una certa realtà del mondo, tutti quei documentari e articoli preparatori alla mia partenza si sono rivelati pressoché inutili. Ho capito che alcune realtà si muovono in un’altra direzione rispetto la mia, talvolta opposta, ed è bello trovare ogni tanto un incrocio, un punto in comune che mi permette di affermare con certezza che siamo allo stesso tempo tutti uguali e tutti diversi.

Ma la cosa più strana che ho capito è questa, vedere il mondo secondo un’altra angolatura è il solo modo a mia disposizione per vedere me stesso riflesso allo specchio. Forse per me è ancora troppo presto per penetrare nel fondo delle viscere tortuose dell’Africa ma grazie a tutto ciò sto scoprendo la mia di identità, sto scoprendo chi sono e da dove vengo, troppo spesso l’ho dato per scontato.

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Sawa Sawa in Swahili vuol dire che va tutto bene, in fondo non c’è nulla da preoccuparsi, ogni cosa andrà come deve andare e prima o poi tornerò nuovamente a casa, tornerò  pieno di cose, alcune da raccontare davanti a un boccale di birra agli amici altre impossibili da comunicare in parole, me le porterò dentro.

Per ora manderò solo qualche lettera, qualche traccia di vita africana che segnerà il mio tragitto, una manciata di pensieri e di storie, un saluto e un abbraccio direttamente dalle sponde del Lago Vittoria.

Ma a chi le manderò? Semplice, le manderò a chiunque abbia voglia di leggerle. Scriverò al mio caro immaginario destinatario senza sapere chi sia e dove si trovi, gli assegnerò perfino un nome, sì, lo chiamerò Mwangaza, mi piace e ogni spiegazione in merito avrà il suo tempo. Come mi hanno spiegato nel villaggio è importante attribuire a ogni nome un significato ben preciso, spesso legato a un evento che prende il sopravvento nelle nostre esistenze.

Buona lettura.

Carlo Cecconi

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