Inès dell'anima miaPer trovare storie di donne carismatiche, bisogna fare perseverante ricerca e saper scovare nelle pieghe della notizia. La Storia e la storiografia sono scritte per lo più da uomini e la condizione autentica della donna è rintracciabile a fatica. Perciò mi piacciono molto le mie amiche femministe e rivoluzionarie che non mancano di scrivermi, telefonarmi, invitarmi ad aperitivi con l’unica finalità di raccontarmi le loro recenti scoperte in materia di storia della donne. La libraia di cui ho parlato nel post La monaca è stata una di queste donne.

Dico la verità: mi interessa più il costume e la tradizione dei popoli che la condizione delle donne in senso stretto; amo le microstorie, il racconto di quanto accadeva nelle camere segrete dei personaggi, non le date, non solo i grandi nomi. Ho per questo una propensione verso quei libri che raccontano il backstage della storia, punto più volentieri la camera sul regista più che sugli attori e scopro che molto spesso la regia è femminile. E ancora più spesso che l’opposizione rivoluzionaria è stata grazie a una donna o da lei sostenuta.
Il libro di cui vi voglio raccontare oggi si innesta su questo ragionamento. Inés dell’anima mia sembra un titolo da romanzo d’amore. Forse. Bell’inganno. In questo libro si parla della donna che fondò il Cile! Inés era una donna spagnola che oltrepassò l’oceano con escamotage impensabili e arrivò fino a quel territorio temuto e inesplorato, che fino ad allora era stato terra di popoli indigeni.

Che Isabel Allende fosse una scrittrice capace di evocare l’universo intimo femminile nessuno può metterlo in dubbio. Dopo La casa degli spiriti (romanzo d’esordio e opera acclamata) la Allende ha scritto molti romanzi con protagoniste femminili, ma Inés dell’anima mia è a suo modo molto particolare.
Ricordo ancora deliziata la scena in cui dopo giorni di battaglia, Inés non aveva più il necessario per curare i soldati feriti; il suo compagno (conviveva, esatto!) le aveva insegnato a usare la spada e lei, esausta, decapitò i 7 prigionieri, irruppe nella pubblica piazza e si mise a lanciare sugli indigeni le teste di questi disgraziati. Diede probabilmente la parvenza di una strega all’opera in sortilegi, ma traditur che gli indigeni rimasero talmente impauriti e soggiogati a quella visione che la battaglia finì lì. Lungi da me celebrare la violenza, ma dopo aver studiato questo personaggio per duecento pagine quell’episodio è arrivato come un imprevisto narrativo. Da infermiera a guerriera.

Che sia verità o invenzione letteraria, a volte la storia ha bisogno di attingere al mito cosìcchè ciascun personaggio riveli grandezza, ma anche umanità.
Chi fa la storia è chi ha idee e coraggio (o incoscienza). O idee e il supporto di una donna. E’ accaduto anche che la storia l’abbia scritta quella rara donna scampata miracolosamente a roghi e ingiurie da bigotti. Quest’ultimo è il nostro caso.

Mariangela Lecci

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