Old man of Joy

Cari compagni di viaggio, abbiamo appena lasciato, con molta malinconia, la lontana Lewis, per dirigerci verso l’ultima tappa, ahimè, del nostro percorso tra i gioielli di Scozia, le sue isole. Ci piacerebbe molto, dobbiamo confessarlo, poter raggiungere anche le lontane Shetland, che separano l’oceano Atlantico dal Mare del Nord, e dove è possibile, se si ha fortuna, assistere al mistico fenomeno dell’aurora boreale. Ma abbiamo poco tempo, e il viaggio costerebbe parecchio.

Stiamo così procedendo alla volta delle Orcadi, quindi verso l’estremo Nord-Est, attraversando Skye, direzione John O’Groats, il paese sulla punta nord-orientale della Gran Bretagna, che probabilmente deve lo strano nome ad un’antico traghettatore olandese che prese in gestione la tratta proprio per le Orcadi.

In realtà noi ci fermeremo un pò prima, preferendo a questo porto quello di Thurso, piccola cittadina sita, pensate un pò, alla stessa latitudine di Stevanger, in Norvegia, e Juneau, capoluogo dell’Alaska. E’ molto doloroso constatare come un luogo un tempo mitico, il cui nome significa nella lingua degli scandinavi che qui arrivarono nientemeno che “fiume di Thor” – il grandioso dio del tuono, figlio di Odino, re degli dei, e della dea della terra, Joro – sia stato dagli uomini profanato, alla ricerca di ben altre potenze, che non il martello del dio vichingo.

Dorney

Stiamo parlando di energia e denaro, che qui prendono la triste forma del petrolio ed in particolare del nucleare, di cui è ben visibile nei paraggi, a Dorney, la centrale. Una gigantesca sfera, grande mela proibita, che poco ha di divino, e molto di demoniaco, se vogliamo considerare non troppo benevole le numerose perdite radioattive che l’hanno caratterizzata. Sarà forse la maledizione degli dei, che non possono tollerare chi si vuole sostituire a loro… Fatto sta che da qui vicino, dal piccolo porto di Scrabster, prendiamo l’ultimo ferry, delle 19, per Stromness, approdo principale delle Orcadi. Un viaggio mai facile questo, dove le forze della natura, non contente, persistono a mostrarci che non possiamo controllarle, affidandosi questa volta ad un arrabbiato Eolo. E’ d’obbligo prostrarsi di fronte all’ “Old Man”, un gigantesco pinnacolo roccioso sull’isola di Hoy, sentinella di ogni tempo, prima di mettere piede a terra, sulla Mainland, l’isola principale.

Arrivati sull’arcipelago, tutto cambia, il clima soprattutto. Qui infatti la corrente del golfo, non più schermata dalla vicina Irlanda, mitiga la temperatura, e rende queste terre predilette da miriadi di specie animali, in particolare uccelli, come i simpatici “puffin“, le pulcinelle di mare. Anche la luce, vista la latitudine, si avvicina a quella del circolo polare, ed accorcia le notti estive ed allunga quelle invernali.

Il primo impatto comunque è quello con la lingua, e ci rende subito palese quanto queste terre siano ancora tanto vichinghe: chiedendo un’informazione, un simpatico portolotto ci risponde infatti “take the runnaba to the habba”, che dopo tre ripetizioni vocali e diversi passaggi nel nostro cervello, riconosciamo come “prendete la rotatoria (roundabout) fino al porto (harbour)”. La Norvegia perse queste terre, le Orcadi e le Shetland, quando proprio qui morì la sua regina Margherita nel viaggio per mare per andare a sposare il re di Scozia, e dovette lasciarle al posto della dote promessa.

Ma basta arrivare a Kirkwall, principale centro dell’isola, per rendersi conto che un contratto non potrà mai cancellare la storia. La grandiosa cattedrale di San Magnus, che svetta sulla città, è dedicata infatti all’omonimo martire norvegese. Fu costruita da un massone, tanto per cambiare, e sembra un raffinato scrigno mortale, che contiene le ossa del martire, ma anche molti altri riferimenti alla morte, come il tristo mietitore sospeso sulla navata, molti teschi e ossa in altorilievo, clessidre, simbolo del “tempus fugit“, il tempo che passa inesorabile accorciando la distanza che ci separa dalla dipartita, oltre al vero e proprio cimitero, fuori della cattedrale, con bellissime croci celtiche in legno, e lapidi piene di incisioni.

Passiamo la notte in un ostello qui vicino, e prima di dormire facciamo un salto al pub locale: sembra di essere piombati sulla scena de “un lupo mannaro americano a Londra“, tanto tutti ci guardano con sospetto!

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Chiediamo una birra e il barman sembra, ma forse finge, non capirci. Dopo qualche momento di imbarazzo, ci serve con sdegno, e capiamo che qui il cordiale ed ospitale sangue scozzese forse scarseggia un pochino… Non possiamo non segnalare un gioco tradizionale ed antichissimo, cui non possiamo assistere, perchè si svolge solo il giorno di Natale e Capodanno, ma che potrebbe valere il pretesto per tornare a queste latitudini: il “gioco del Ba’ “.

San Magnus

La città viene divisa in due squadre, quelli a nord e quelli a sud di San Magnus (originariamente erano però come i nostri guelfi e ghibellini, i pro-duca e i pro-vescovo), e il gioco comincia quando una sorta di palla viene gettata in piazza, in mezzo alla mischia. Lo scopo delle scatenate moltitudini di giocatori è quella di riuscire a portare la palla fino alla parte opposta del quartiere avversario. Quindi una marea di giocatori si riversa per tutte le strade, usando come scorciatoie per raggiungere lo scopo anche l’attraversamento di negozi, case, e pure il passaggio sui tetti! Trovarcisi in mezzo dev’essere un’esperienza unica, se ci si abitua alla spiacevole sensazione di non poter controllare i propri movimenti, e di venire sballottati a destra e a manca!

Queste isole sono tra le più ricche di antichi resti archeologici, con una densità incredibile, e ci affrettiamo impazienti a muoverci verso i più importanti. Per arrivare al primo, Maes Howe, percorriamo una strada costiera che passa dapprima, ancora in città, vicino alla famosa distilleria di Scapa, per poi costeggiare il mare di fronte alla cosiddetta Scapa Flow, una baia teatro delle più feroci battaglie navali. In questi lidi hanno trovato riparo imbarcazioni di ogni genere e tempo, da quelle in legno vichinghe ai moderni incrociatori della marina britannica. E tra queste onde le meno fortunate sono scomparse, inghiottite dal mare. Per la gioia dei sub di tutto il mondo, e dei pesci che le abitano, in questi fondali riposano navi da guerra tedesche, affondate dai loro stessi ammiragli per non lasciarle al nemico che le aveva catturate, ma anche U-boot, i famigerati sottomarini, e pure una nave inglese, affondata appunto da uno di questi, che portò sotto il mare con sè ben 833 uomini dell’equipaggio.

Maes Howe ci aspetta, e ci si mostra molto sommessamente, come una piccola collinetta in mezzo alla campagna. E’ in realtà una delle più belle ed importanti tombe a tumulo di tutta l’Europa occidentale. Creata ben 5mila anni fa, è perfettamente allineata col sorgere del sole nel solstizio d’inverno. Venne scoperta, per caso, dapprima dai Vichinghi, di ritorno dalle crociate, nel 12° secolo, che ci caddero letteralmente dentro, sprofondandoci dall’alto. Ne cercarono i tesori, e lasciarono segni del loro passaggio. Per entrarci si percorre il lungo corridoio sotterraneo che ci porta dal mondo moderno, fungendo da decompressione in grado di liberarci di migliaia di anni, nel cuore di questo luogo così sacro e suggestivo. Le pareti interne sono rivestite di graffiti, alcuni meravigliosi, raffiguranti animali mitologici, leoni-dragoni, serpenti uroburi, persino trichechi e poi rune, croci, simboli e scene sacre, e per finire, perchè l’uomo non cambia mai, nemmeno in 5mila anni: incisioni col nome che dicono che il tal “Ottarfila è stato qui”!

Maes HoweSenza sosta ci spostiamo a Skara-Brae, anche questo sito di rilevanza mondiale, considerato il villaggio preistorico meglio conservato di tutto il Nord Europa. Pensate che, come Maes Howe, è stato scoperto per cause fortuite: era infatti seppellito sotto alte dune sabbiose, che un vento particolarmente forte nel 1850 cominciò a spazzare via, iniziando a svelare le fattezze di un imponente centro abitato del 3500 avanti Cristo, dolcemente adagiato sul mare dell’isola. La sabbia l’ha perfettamente preservato, ed è possibile passeggiare tra le capanne di pietra, vedere ancora sedili, tavoli e stoviglie, e scorgere tra gli scorci più arditi anche qualche spirito vagante per la sua antica patria!

Ma sinceramente, nulla è al confronto della nostra ultima meta, the Ring, l’anello, di Brodgar. Un cerchio di pietre del diametro di oltre 100 metri, su un terrapieno dolcemente appoggiato a due loch, laghi, e colorato dall’erica tutta intorno. E’ coevo di Stonehenge, 2500 avanti Cristo. Originariamente era formato da 60 pietre, di cui ne rimangono oggi 27, alte fino a 5 metri ognuna. Più una, distante più di 100 metri, che dava una direzione celeste, svelando anche qui un preciso orientamento astronomico. La leggenda dice che questi monoliti altro non siano che giganti, messisi a cantare e ballare in cerchio, che si dimenticarono del sorgere del Sole, e vennero pietrificati. La forza ancestrale di questo luogo trasuda da ogni zolla di terra, da ogni roccia, e un segno ineludibile della capacità di calamitare i principi elementali pare essere una delle pietre, colpita da un fulmine e spezzata esattamente a metà. Tante persone, migliaia di anni fa, hanno calcato questa terra, sperando in qualcosa, forse pregando, e questo cerchio così magico sembra averne catturato l’energia per sempre.

Abbiamo compiuto un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo. Abbiamo compiuto un viaggio in terre lontane, ma anche dentro noi stessi. Abbiamo cercato l’anima di luoghi antichi, e forse scoperto qualcosa in più della nostra. Ringraziamo la Scozia per essere stata straordinaria compagna, e interprete, di questo percorso. Che non può finire qui, perchè, parafrasando il vate Shakespeare e Cornelio Agrippa Von Nettesheim, leggendario alchimista, ci sono più cose in cielo ed in terra, che in tutta la scienza e la filosofia, e non dobbiamo mai smettere di cercare, perchè ciò che è stato occultato in un luogo, è stato manifestato in un altro…

Ci rivediamo in Italia…

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