Isola di Harris: Husinis.

Cari amici, questa volta partiamo da Uig, sull’isola di Skye, alla volta delle Ebridi Esterne, affrontando subito le onde dell’Atlantico, che sbattono già il nostro battello ripetutamente, e con tale violenza, da piegarlo su un fianco, quasi a poggiarlo sul mare. Un bimbo piange, spaventato, un signore non troppo anziano mangia tranquillamente, come niente fosse, stando attento però a centrare la bocca con la forchetta… Sarà che sopraggiunge anche il buio, ma sembra davvero di essere nel bel mezzo delle pene inflitte all’Antico Marinaio

Noi però non abbiamo ucciso nessun albatro, e ci possiamo fermare, più sereni, a contemplare come il mare in tempesta sia forse la massima espressione metaforica della violenza delle emozioni che sgorgano dai nostri abissi. Non per niente, non troppo lontano da qui, sempre in terra di Scozia, si trova pure il terribile Corryvreckan, un whirlpool, un leggendario gorgo, simile ai maelstrom di Poe e Verne, uno scontro di correnti che danno vita ad un abbraccio mortale in grado di risucchiare acque e con esso tutto ciò che osa avvicinarvisi. Imparando ad accettare gli abissi del nostro inconscio, ci ritroviamo, dopo quasi 4 ore di viaggio, a Tarbert, sull’isola di Harris, patria della miglior lana di tweed al mondo.

In realtà questa è anche l’isola di Lewis, visto che hanno due nomi, ma in realtà sono una sola entità, semplicemente divisa da due fiordi più profondi e una serie di alture più spiccate. Basta appoggiare il primo piede su questa terra, per sentirsi un pò come l’equipaggio dell’Apollo 11: il paesaggio è davvero lunare, non fosse per il mare, che non somiglia proprio a quello della Tranquillità!

Si percepisce proprio anche l’isolamento dal mondo conosciuto, basti pensare che quasi tutti qui parlano il gaelico, e mantengono una religione ancorata addirittura al rispetto del Sunday Sabbath, la domenica sacra, il giorno del riposo, dove negozi e pub sono rigorosamente chiusi, e pure i mezzi di trasporto si fermano! D’altronde parecchie sterline di pedaggio, e tre ore di probabile burrasca a nord del nord della Scozia, a latitudini non troppo distanti dal circolo polare, sono abbastanza sufficienti da convincere la maggior parte delle anime a rimanersene lontana da qui. O ad andarsene. Ed infatti lo spopolamento è un problema, come anche l’approviggionamento di ogni genere di scorte, da quelle alimentari, a quelle energetiche, ai giornali, che possono raggiungere l’isola solo via nave o aereo, quando questi ci riescono…

Ma tornando a noi, come sempre soggiogati dalla severa tirannia del tempo, cerchiamo di giungere nell’unica città dell’isola, che ne è anche la capitale, dove poter trovare un ostello: Stornoway, a nord-est. Ci arriviamo che non sono ancora le 21, e speriamo di trovare una sistemazione, ma ben presto la cosa si fa complicata. Dei tre ostelli della gioventù segnalati nella vecchia Lonely Planet, due non esistono proprio, e l’unico esistente è chiuso per una festa privata. Cominciamo a provare nei bed and breakfst, e pure in qualche guesthouse, ma tutti rispondono picche, e superate le 22, è già molto che non ci chiamino la polizia quando proviamo a suonare ai campanelli!

Cartelli stradaliTralaltro, abbastanza curiosamente, essendo l’isola una striscia di oltre 100km lontana da tutto, notiamo che le strade sono piene di cartelli che segnalano pattuglie di ronde di civili! Di chi mai avranno paura, per aver istituito una pratica del genere? In giro non si vedono nè minacciosi stranieri, nè pericolosi ceffi di qualsiasi sorta… Anche se, a onor del vero, la guida ci dice che qui la povertà di divertimenti ed attrazioni porta, specialmente tra i giovani, a problemi di alcool e droghe. Direi non solo qui… Comunque a noi non rimane che provare l’ultima opzione, l’albergo, quello ancora aperto, ma quando sentiamo il prezzo che ci farebbe, 65 sterline, più di 80 euro, vista anche la mezzanotte ormai scoccata, ci rassegniamo all’idea di farci una notte in bianco, girando a zonzo con la macchina a noleggio di cui disponiamo, godendoci l’isola al dolce chiarore della luna, e facendoci trovare già pronti per un’alba da favola. Spizzicando un pasto take-away thai, unico cibo disponibile a quest’ora, cominciamo a passare accanto al castello, immerso nel suo parco, e alla caduta cattedrale di San Colomba, nostra vecchia conoscenza, con l’annesso cimitero, fino al faro, anche questo uno di quelli costruiti dal solito signor Stevenson.

Proprio qui vicino, qualche chilometro fuori dalla città, non possiamo non notare che una macchina ci segue da un pò e, vista la situazione, in cui non si sente neanche un gabbiano fiatare, nè si muove anche un solo singolo sorcio di campagna, ciò non può essere proprio un evento casuale! Chi sono? Cosa vorranno? Saranno mica le ronde di cui leggevamo? Così fuori città? O peggio uno dei bersagli delle ronde, cioè qualcuno di poco raccomandabile? Un lampeggiante ed una sirena ci svelano l’arcano, dopo qualche chilometro col fiato sospeso. Fermata l’auto, una donna poliziotto, molto americaneggiante con la sua lunga torcia, il distintivo, e l’altra mano sulla fondina della pistola, ci si avvicina molto cauta e comincia ad interrogarci. Vai a spiegare cosa ci fa un italiano a non so quante migliaia di chilometri da casa in giro in piena notte? Riusciamo a cavarcela citando i nomi di qualcuna di quelle guesthouse trovate chiuse, convincendola così della nostra buona fede. Rimane il fatto che girovagare così con l’auto senza meta sia reato di vagabonding, così la premurosa agente si mette a telefonare in centrale per cercarci un alloggio, e indovinate cosa trova? Solo quell’albergo in cui eravamo già stati, quello costoso. Valle a dire che è un pò troppo per noi… Ci impone di seguirla fino a lì, e ci saluta amorevolmente.

Callanish

Peccato che siano oltre le 3, e che io non abbia nessuna intenzione di pagare la cifra suddetta per dormire qualche ora. Faccio la scena di entrare nella hall, vedo andare via “la legge”, e me ne torno a fare un pisolino nel parcheggio dell’albergo, in auto ovviamente! Un signore con la valigetta, che andrà a lavorare chissà dove, ci sveglia sbattendo la portiera della sua macchina, e mette in moto anche noi. Senza neanche un buon caffè, sarà quel chiarore, sottile ma capace di squarciare la notte, che precede la prima luce dell’alba, a condurci, attraverso lande desolate, al cuore antico dell’isola: Callanish, il sito megalitico più importante del Regno Unito, dopo Stonehenge! Tutte le colline qui intorno sono piene di menhir, singoli o in piccoli gruppi, ma qui a Callanish lo spettacolo è irripetibile: la palla di fuoco del carro di Apollo illumina a poco a poco questo capolavoro coevo delle piramidi più antiche, un tempio-calendario solare e lunare di oltre 5mila anni fa, composto da oltre 50 colossi di pietra, a formare una primordiale croce celtica, col suo cerchio, in cui si innesta una sorta di lungo corridoio di 2 file parallele di menhir, che si dice venisse percorso dalla luna piena di mezzo agosto. Si noti che la croce celtica, per ovvi motivi, è successiva di circa tremila anni…

Rimaniamo in piedi appoggiati ad uno di questi monoliti, lasciando alla luce che si rafforza ogni minuto che passa il compito di scaldare la pietra, e le nostre membra, pervase di un’energia millenaria, che paralizza la mente per almeno un’ora con visioni di antiche genti, popoli grandiosi in grado di fare tutto ciò. Senza l’aiuto di schiavi, per quanto ne so, come avveniva invece nella terra dei faraoni. Ci distoglie solo una visita improvvisa, la prima della giornata, dopo la nostra: quella di una coppia di francesi!

Abbandoniamo a fatica questo esempio materiale di varco spazio-temporale, tornando a muoverci, e incontrando numerose blackhouse, resti simili a quelli visti su Skye, delle vecchie case scure dal tetto di paglia, prima di incappare in un paesino, dove un singolare monumento si mostra ai nostri occhi: è lo scheletro della bocca di una balena, che forma un arco sotto il quale passa una piccola stradina. A metà dell’osso del cetaceo, un arpione è ancora infilato lì, come segno della battaglia vinta col mostro marino. Questa visione diventa la scintilla di una morbosa curiosità, della voglia di sapere qualcosa di più su questa caccia così odiata, anche da me. Gli spiriti di Melville ed Hemingway ci fanno da guida, conducendoci a quello che sapevamo essere il paese dei balenieri, il luogo da cui partivano le navi in cerca del mammifero più grande del mondo.

Per arrivarci, dalla strada principale che collega nord e sud, Lewis ed Harris, si deve deviare, prendendo per una piccola stradina, che conduce e muore al paese di Hushinish. Immediatamente questa ci si rivela come un ultimo, straordinario, forse irripetibile regalo. Lungo la sua carreggiata, larga pochi centimetri più della nostra auto, ci si svelano a mano a mano che procediamo laghetti e meravigliosi prati da un lato, e vertiginosi strapiombi a picco sul mare dall’altro, che a dirla tutta a tratti ci fanno tremare i polsi, vista la completa assenza di guard-rail! Non soffriamo di vertigini, ma ringraziamo per aver incontrato le uniche due macchine del giorno dove la strada un pò si allarga: fare una manovra o retromarcia sarebbe stato a dir poco rabbrividente!

Raggiungiamo presto ciò che rimane del vecchio villaggio dei cacciatori di balene: un sito talmente sperduto, incastonato nelle pieghe di scogliere battute da un mare a dir poco impetuoso, che rende un pò di giustizia al sacrificio dei giganti buoni del mare. Lungi da noi, ripeto, dal difendere questa caccia, ma non si può non rilevare come chi partiva da qui, giocava forse una lotta ad armi pari. O almeno parliamo di un tempo in cui l’uomo non era ancora sicuro di vincere sempre nella sua eterna battaglia con la natura, e partiva senza la certezza di trovare la sua preda, nè di ucciderla, e spesso neanche quella di tornare a casa sano e salvo! Il mare sempre arrabbiato, gli scogli in agguato sotto le onde, la nebbia, erano tutti mostri da combattere, e la balena bianca, il simbolo della natura indomita, li racchiudeva tutti in se. La morte, eterna compagna della vita, era costantemente in gioco, come pegno della partita. La vita dell’animale e quella del marinaio. Il sacrificio di uno, onorato dal bisogno, dal rispetto e dalla riconoscenza dell’altro.

Oggi sonar, arpioni automatici e potenti, e mancanza di vera utilità, completano l’indecenza dell’uomo diventato disumano, che non si accontenta di nulla, che non rispetta l’equilibrio della natura, e che porta tributi al dio consumo fino a che nulla rimarrà più… Poco tempo dopo, quando ancora questi concetti dolorosi ci rimbalzano per la mente, decidiamo di arrivare fino in fondo, fino al paese dal nome impronunciabile, Hushinish, sicuri che questa “highway to hell”, o “starway to heaven“, non finirà di stupirci.

Amhuinnsuidhe Castle
Ed infatti, in successione, troviamo prima il meraviglioso castello di Amhuinnsuidhe, perfettamente mantenuto, ed animato da diverse persone, che paiono servitù, che formicola dai saloni interni al vicino porticciolo, passando per il giardino e la rolls royce lì parcheggiata. Chissà chi sarà il fortunato..? Un nobile di alto lignaggio, quasi sicuramente… Poi vari siti di raccolta della mitica torba, quella che si usa nel processo di creazione del whisky torbato, appunto. Si possono vedere quella sorta di zolle, prelevate, a mano, e in piccole quantità, a farne pochi sacchi, nei posti più impensabili, dai prati sperduti qui intorno ai terreni vicini alle scogliere qua sotto. Ci credo che il whisky viene buono, se sulla torba presa con così tanto amore e fatica e ricerca ci si affumica ed essicca l’orzo, che diventerà il malto, che produrrà l’ambra dell’alambicco.

Andando ancora oltre, un ufficio postale, funzionante, su questa strada, dove passeranno 10 persone al giorno! Svoltando una delle ennesime curve, il fiato ci viene rapito dallo stupore, mitico direi, simile a quello di chi veda per la prima volta il mare, o la neve: una spiaggia di sabbia bianca come farina, bagnata da un mare blu cobalto. Delle due opzioni di cui sopra, diremmo che questa si avvicina davvero tanto alla strada per l’Eden. Se non fosse per la pelle d’oca, dovuta in parte all’emozione di essere qui, ma in parte anche al freddo, si potrebbe pensare di essere incappati in un’isola delle Maldive alla deriva! E’ la spiaggia di Hushinish, invero (Foto di apertura). Un paese con 4 case, contate, e un bagno pubblico! Un casottino di legno, che ha pure la divisione in uomini e donne! Un signore intabarrato esce da un capanno degli attrezzi, e non posso non fermarlo: gli chiedo come sia vivere in un posto così difficile, ma speciale. E lui mi dice candidamente: è bello, ci sto bene, sennò non starei qui! Fa il pescatore… E poi non resisto a domandargli di chi fosse il castello incontrato poc’anzi: lo sdegno comincia a riempirgli il viso, e con una smorfia mi risponde che è di un odiato inglese, dannato, che fa il broker finanziario per una grossa banca svizzera, e vive un pò nella terra dell’emmental, un pò in Inghilterra, e un pò nel castello qui vicino. Gli inglesi, coi loro soldi, si stanno comprando mezza Scozia, poveri noi…

Forse per punirci dai cattivi pensieri, un vento fortissimo arriva a sferzare la bianca spiaggia, alzandone la sabbia, che sembrerà farina, ma in realtà ha granelli grandi come chicchi di sale grosso, che fanno un effetto carta vetrata sul viso e sulle mani! Ci tocca scappare in macchina, avviandoci al ritorno, come sempre a prender al volo l’ultimo traghetto della giornata che ci riporti in terraferma. Ma passando, non possiamo non notare, in mezzo al mare lì vicino, quella che riconosciamo come l’isola di Scarp, forse l’inno al romanticismo, all’ingegno ed alla follia dell’uomo: abitata fino al 1970, negli anni 30 avvenne qui una delle imprese più bizzarre della storia, quella che venne ripresa anche in un recente film, dal titolo “the rocket post“. Un pazzo inventore tedesco cercò di dotare l’isola, poco più che uno scoglio, di un sistema di posta…a razzo! Dopo due tentativi naufragati però, dovette desistere! Con questa assurda nota, ci lasciamo per oggi, prima di concludere questo viaggio nella rossa terra di Scozia, e nelle sue isole. Nella prossima puntata, però, tra giusto un mese…

5 Commenti

  1. Mi fa piacere Stefano, se hai bisogno di qualcosa non hai che da scrivermi! PS: conosci i Celti Liguri? Potresti anche ripercorrere la storia di questo popolo, da casa tua alle Ebridi!!! Andrea Zucchi

  2. Mi fa piacere Stefano, se hai bisogno di qualcosa non hai che da scrivermi! PS: conosci i Celti Liguri? Potresti anche ripercorrere la storia di questo popolo, da casa tua alle Ebridi!!! Andrea Zucchi

  3. che bel modo di parlare di un viaggio…
    fa venire voglia di viverlo.
    sono capitata in questo scritto mentre sto facendo un giro di notizie sulle ebridi e le orcadi alla ricerca di posti simili, solitari, un po’sperduti, con tanta natura…che tanto mi affascinano
    grazie

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