Seduti su un gradino del sagrato di Sao Estevao, all’Alfama, si gode di molte delle cose che Lisbona propone nei suoi incanti di ogni ora del giorno. La visione del Tago e della margem sul, per esempio, e delle buganvillee che adornano i belvedere; e anche il rumore del 28, l’electrico che sferraglia nelle strette e contigue stradine.

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E la musica, ovvio, quella si sente a ogni ora o si suppone di sentirla anche quando il sole viaggia alto nel cielo. Se non è musica reale, è quella che nelle orecchie è rimasta da una sera passata ad ascoltare voci nuove o carismatiche, amatori o professionisti, suonatori improvvisati o professionisti famosi già oltre confine. Ognuno di loro, non smetteremo mai di dirlo, ha nel fado la sua vita, qualunque altra attività, se ci fosse, si svolgerebbe altrove. Conosco ingegneri e architetti, medici e commercialisti, che la sera si vestono da fadisti e calcano le scene, quasi sempre stretti spazi fra tavolini nei quali si assiepano pullman di tedeschi in visita alla tradizione ormai internazionalizzata della città. Ma anche dove non ci sono pullman di turisti stranieri, ma solo lisboeti, l’energia che esce da quei luoghi, che rimbalza sui tavoloni di legno che non sono imbastiti dalle tovaglie di lino e dai calici di cristallo e dalle posate d’argento, è uguale e diversa, profonda, comunque. Sao Estevao non può non venire in mente, quando sali e scendi le strade dell’Alfama. Ma non è la sola chiesa che si erge bianca sul Tago e che ti suggerisce di aprire il tuo animo.

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Eppure non sono solo le chiese dell’Alfama – le più grandi come le semplici cappelline – che rendono magico questo quartiere che fu già moresco. Certo le chiese hanno un loro straordinario carisma e lo dice un laico che ama entrare in esse e conquistarne il candore e il sapore, l’incenso che brucia, le candele che sembrano faticare a rimanere accese, come talvolta il sudore della parete lasciata troppo alle intemperie senza restauro. Ma sono luoghi significativi e paritetici ad altri, che sembrano talmente diversi, è vero, ma che non lo sono e lontanamente si assomigliano e si ammirano nella loro capacità di unirsi in un solo panorama. Le chiese e le taverne, da una parte si prega un Dio che diventa terreno perché protegge nelle cose di ogni giorno; dall’altra si recita un salmo profano col quale si innesca la speranza di un mondo migliore. Religione e materia tante volte non si possono accostare, non lo vogliono fare. A Lisbona accade. Prendete ad esempio Amalia: sul suo sarcofago, che giace austero in una cappella del Panteao, monumento che comunque non è mai stato aperto al culto, la gente prega e chiede grazie alla divina come se lei fosse davvero la Madonna.

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Nell’aria, se ancora non ve ne siete accorti, il fado è sempre più forte perché, camminando fra scalinate, vicoletti e stradine tortuose, sta venendo sera. La gente si avvicina all’ingresso delle taverne e scruta il menù appeso all’esterno o scritto su una grande lavagna e l’annuncio che in serata si potrà ascoltare il fado. In alcune osterie, che amo, il cartello “Hoje é fado” sta vicino a quello “Hoje é caracois”, oggi ci sono le lumache o qualsiasi altra cosa da mangiare o bere (c’è sempre un annuncio entusiasta di quando viene preparata la sangria, e non ho mai capito il perché…), quasi che le due cose siano imprescindibili. Appunto: lo sono, o almeno in una mia visione di Lisbona lo sono. Poi, per carità, ho adorato ascoltare Ana Moura nel chiostro di Santo Stefano a Bologna e amo sentire cantare fado ovunque nei teatri in Italia o in Portogallo, ma alle feste popolari o nelle “case” è un’altra cosa. Non migliore, non direi mai che un palco come si deve faccia male a questo genere di musica, ma quando Julio Tomar si muove con la sua chitarra fra i tavoli della Parreirinha o Jesuino con la voce ormai flebile ti si siede accanto mentre gusti un piatto al Coraçao de Alfama, è davvero qualcosa di più commovente. Più genuina, come il sapore del coriandolo. Questo è il fado che amo e sono felice che ci siano occasioni in cui ormai si ascolta in questa forma non solo a Lisbona, ma anche all’estero.

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Nei giorni scorsi, infatti, è stata la volta di Fernanda Moreira, che in patria si esibisce nelle varie case dei quartieri tipici, a uscire dal suo reame: a Barcellona è stata ospite del ristorante Lisboa, dove ha ottenuto un appassionato successo e ha fatto vivere ai tanti lisboeti che vivono nella città catalana, ma anche agli spagnoli accorsi per curiosità, che cosa significa amare la propria terra, amare le proprie origini e le proprie tradizioni musicali. Le cronache di questa visita parlano di quattro serate piene di gente ed entusiasmo vissuto attraverso i pezzi classici del repertorio; Fernanda Moreira è stata accompagnata da António Marramaque alla guitarra portuguesa e da António Reis alla viola de fado. Qualunque cosa si possa pensare, la prima che viene alla mente è che il cuore vince su tutto e che il riconoscimento ottenuto dall’Unesco passa non solo dalla cultura alta del fado, ma anche da chi il fado lo vive sulla propria pelle e se ne emoziona in modo amatoriale.

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