«Un inno alla vita. È un sogno di giustizia che si avvera. Speriamo che si avveri anche a Taranto (per il caso Ilva, ndr) e in tutti i Paesi del mondo in cui si continua a usare l’amianto»: queste sono state le parole di Raffaele Guariniello, pm torinese che ha seguito lo storico processo sui disastri provocati dagli stabilimenti Eternit di Cavagnolo e Casale Monferrato. Proprio oggi, infatti, è stato condannato a 18 anni il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, nel processo di appello Eternit sulle vittime dell’amianto. I giudici non solo hanno aumentato la pena (rispetto a quella inflitta in primo grado) di due anni, ma hanno anche esteso la responsabilità dell’imputato anche per gli stabilimenti di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia).
Schmidheiny è stato condannato a 18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione di cautele antinfortunistiche dalla Corte di Appello di Torino. Ad assistere alla sentenza molti parenti delle vittime, tra cui Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’Afeva (Associazione familiari e vittime dell’amianto) che a causa dell’amianto ha perso cinque familiari.
Un importante precedente di cui dovranno tener conto in molti, una svolta storica che condizionerà anche la vicenda dell’Ilva di Taranto. E, al tempo stesso, uno dei tanti, troppi disastri del nostro Paese che si sarebbe dovuto evitare. Uno dei tanti processi che lasciano l’amaro in bocca. E, forse, la disillusa speranza che alla condanna segua anche un’ingente opera di bonifica e un doveroso ricorso alla ricerca medica. E che, un giorno, la prevenzione possa cautelarci da qualsiasi tipo di condanna.