Il virus metterà in scatola le sardine?

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virus-e-sardineCi sono sere, specie in autunno, in cui è possibile stare

“sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.”

Sono stormi che man mano si ingrossano. Si alzano nel cielo. Poi, improvvisamente, sembrano precipitare. Si allargano. Si addensano. Si posano. Tornano in volo.
Vengono raggiunti da altri uccelli e disegnano cangianti configurazione che si stagliano, nere, contro la luce del tramonto.

Due domande mi hanno sempre assillato a quella vista:
1 – che uccelli sono?
2 – come fanno a non scontrarsi in volo e, soprattutto, chi dà gli ordini su dove andare?

Alla prima domanda pare che la risposta sia semplice: quelli che si vedono nei cieli sopra le nostre città sono storni (anche se “stormi di storni” più che a Carducci fa pensare a Bergonzoni).

La seconda risposta è più complessa e riporta ad altri fenomeni presenti in natura (e non solo): dal nuoto di banchi di pesci alla corsa di una mandria di bisonti fino alla fuga di una folla umana spaventata da un pericolo (della cui natura, spesso, la maggioranza dei fuggitivi è ignara).

Pare che alla base di questi comportamenti vi siano tre istinti che combinati tra di loro fanno “emergere” un comportamento di “sistema”:
il bisogno di rimanere nel gruppo (percepito come protettivo) possibilmente verso il centro;
la necessità di tenere una certa distanza tra loro per non collidere;
come conseguenza dei due istinti precedenti si ha la tendenza a mantenere un certo allineamento.

Ma resta ignoto, almeno a me, perché cambino altezza e direzione: il bisogno di rimanere uniti e a distanze costanti sarebbe sufficientemente soddisfatto da un movimento lineare sempre alla stessa altezza e nella stessa direzione.

La ragione ultima è forse facilmente intuibile, il gruppo (banco, mandria, stormo o folla che sia) difende dai predatori, li confonde, aumenta la probabilità individuale di sopravvivenza.
Anche la spettacolarità delle evoluzioni degli stormi di storni (e daje con Bergonzoni) si possono probabilmente spiegare con la necessità di farsi vedere e richiamare altri individui della specie ad unirsi alla massa.
Ma quali siano i meccanismi con cui questo avvenga, lo ignoro.
Gli esperti sostengono che non vi sia una gerarchia all’interno della moltitudine, tanto meno una leadership.
A me piace immaginare che si diffonda tra gli individui che la compongono un “comune sentire”, una specie di impulso “collettivo e naturale” a fare una certa cosa, ad andare in una certa direzione.

Chissà se, anche solo inconsciamente, hanno pensato a questo le “sardine” quando hanno deciso di chiamarsi sardine.
piazza-maggioreSappiamo che il motivo “consapevole” fu il richiamo alle sardine in scatola: solo così pigiati si sarebbe potuti stare in 7000 sul “crescentone” (una sorta di piattaforma, alta come un marciapiede, che occupa Piazza Maggiore a Bologna).

Mi è capitato di sentire Mattia Santori riferire che molte persone gli avrebbero detto di aver provato in molti modi, in questi anni, a dar vita ad un movimento civile antirazzista e antifascista senza mai riuscirvi e si chiedevano come avessero fatto i quattro ragazzi di Bologna.
In verità, com’è ovvio, il movimento delle sardine non è il primo moto “spontaneo” che raduna in piazza i cittadini per rivendicazioni politiche, sindacali o sociali. Basti pensare ai “girotondi”, al cosiddetto “popolo viola”, alle donne di “se non ora, quando?”, fino ai primi “Vday” e più indietro ancora al ’77 o al ’68.
Forse la risposta sta nel fatto che questi movimenti nascono “quando è ora”, come gli stormi di uccelli, e guardandoli, in cielo o nelle piazze, come gli stormi di uccelli, ti chiedi dove fossero finora e dove saranno domani.

Ora, chi pensa alle sardine (intese come movimento) si chiede se il coronavirus e il “distanziamento sociale” non le abbiano soffocate nella culla.
Chi ci pensa (pochi in realtà, a giudicare dal dibattito pubblico e dalla rilevanza sui media) si domanda “cosa vorranno fare da grandi”.
Ma è una domanda fuori luogo e fuori tempo.
Il movimento è nato, come molti altri, nel, e per, il vuoto di rappresentanza determinata dalla crisi del Partito Politico. Non di questo o quel partito politico, né soltanto dei partiti politici italiani, ma del Partito come mezzo di intermediazione tra il cittadino e lo Stato a livello mondiale.
Anzi, secondo una analisi che non è questa la sede di approfondire, i partiti sono in crisi perchè in crisi sono gli Stati e le loro istituzioni così come definite dalle grandi costituzioni liberali.
La rapida e imponente trasformazione del mondo (in primis dei mezzi di produzione e della distribuzione della ricchezza) produce una trasformazione delle strutture di governo della società e delle istanze di composizione dei conflitti (la politica).
sardine-in-scatolaI soggetti che sono dentro la trasformazione percepiscono la crisi di ciò che c’è (c’era) e non riescono a determinare la natura di ciò che ci sarà.

Se le sardine italiane sopravviveranno, se non finiranno davvero in scatola e a far bella mostra di sé in vetrina come in certi negozi di Lisbona, potranno dare un’unica risposta alla domanda “cosa volete fare da grandi?”:

“Non lo sappiamo perchè il nostro lavoro non esiste ancora”.

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