The new Folk Sound of Terry Callier.Proseguiamo il racconto delle avventure di mister Terry Callier interrotto la settimana scorsa. Avevamo lasciato il nostro amico alle prese con la rescissione del contratto da parte della Elektra records. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno.

Nel frattempo la figlia di Terry che vive a San Diego con la madre, decide di raggiungerlo all’inizio dell’estate del 1983 per trascorrere con lui le vacanze estive.

Al termine dell’estate Sundiata, la figlia di Terry, esprime il desiderio di restare a vivere a Chicago con suo padre. Ed ecco, nel giro di pochissimi mesi, un altro evento che cambia radicalmente la vita di Terry. Lui non dimostra né dubbi, né tanto meno esitazioni: mette da parte la sua carriera ed esce dal “music business” per dedicarsi all’educazione di Sundiata che sta per affrontare la High School. La vita di Terry diventa quella di una persona qualsiasi, con le responsabilità di un padre e la routine di un lavoro, per così dire, normale. Improvvisamente la sua esistenza diventa in tutto e per tutto simile a quella del suo “Ordinary Joe” che aveva raccontato anni prima in uno dei suoi maggiori successi:

Now I’d be the last to deny
that I’m just an average guy
and don’t you know each little bird in the sky
Is just a little bit freer than I

Nel 1984 Terry trova lavoro come programmatore alla University of Chicago, ma si rende ben presto conto che per ambire ad un impiego di maggior prestigio e soprattutto più remunerativo, ha bisogno di una laurea. Riprende quindi gli studi che aveva abbandonato anni prima per dedicarsi alla sua passione principale e consegue una laurea in sociologia.

In questi anni Terry continua a scrivere canzoni di rara intensità e bellezza, ma il suo pubblico è composto unicamente dalla figlia Sundiata e da una ristretta cerchia di amici.

Tutto sembra scorrere tranquillo nella vita del nostro Terry, ma dall’altra parte del globo la ruota del destino si è messa in moto ancora una volta e questa volta per il verso giusto.

Ci spostiamo a Londra, nel Regno Unito, agli inizi degli anni ’90.

Un manipolo di artisti e produttori si dedica al rilancio della musica soul e jazz anche nell’ambito dei clubs e e sembra possedere una nuova ricetta. La ricetta prevede di frullare i due principali ingredienti con del buon funk e condire tutto con la giusta dose di “groove”, cioè quella componente che ti spinge a muoverti al ritmo di musica e che ti porta a ballare. Anche se il termine è prettamente inglese americano – “to be in the groove” significa essere in forma, a posto – gli artisti inglesi lo fanno proprio e lo applicano perfettamente alla loro musica. Eddie Piller e Gilles Peterson sono i due principali artefici, prima djs e poi produttori, dell’ascesa di questo movimento.

Ne nasceranno artisti e gruppi di importanza storica per quel movimento musicale: Incognito, Galliano, James Taylor Quartet, Brand New Heavies.

Pensate che uno tra i primi artisti a firmare per la Acid Jazz records di Eddie Piller sarà niente meno che Jason Gismondo Kay, l’uomo delle Ferrari e delle Lamborghini.

Dopo l’esordio con l’etichetta indie strapperà un contratto milionario alla Sony e con il gruppo dei Jamiroquai contribuirà in maniera massiva a dare forma al fenomeno Acid Jazz.

Ed è questo il nome che prende questa nuova corrente musicale che spira in tutta Europa fino a lambire gli Stati Uniti; ed è proprio in questo momento che i Djs inglesi cominciano a suonare, con sempre maggiore frequenza, fino a fare diventare un vero e proprio “anthem”, una sorta di inno, questo fantastico brano …

Questa canzone si intitola “I don’t wanna see myself” ed è stata incisa da Terry Callier nel 1982.

Ecco che la buona sorte, da cui Terry si è sempre sentito accompagnato, lo riporta in quell’universo che aveva dovuto, suo malgrado, abbandonare anni prima.

Eddie Piller si mette sulle sue tracce e lo convince a recarsi a Londra per suonare al “100 Club”.

Intanto la musica di Terry viene riproposta nel Regno Unito da Gilles Peterson, animatore delle serate al Dingwalls, da Russ Dewbury, altro deejay di fama internazionale e dallo stesso Eddie Piller.

Terry ritrova così una sua nuova audience e pure un contratto: nel ‘95 firma per la Verve che a quel tempo è distribuita in Gran Bretagna dall’etichetta Talkin’ Loud del deejay Gilles Peterson.

La consacrazione definitiva avviene durante un suo concerto al mitico Jazz Cafè di Londra. Di fronte all’entusiasmo del pubblico in Terry si commuove a si abbandona ad un pianto liberatorio.

Nel ‘98 arriva il momento del ritorno sulla scena musicale: esce l’album “Timepeace”.

Le nuove canzoni sfuggono ad ogni definizione, sono altamente stratificate e rivelano tutta la poetica bellezza che Terry ha dovuto tenere sopita in tutti gli ultimi anni. I testi parlano delle prove e delle sfide che la vita ci propone ogni giorno, di quanto la fede sia importante per non perdere mai la giusta rotta durante il cammino, delle condizioni sociali di una buona parte dell’umanità.

“Mantieni il tuo cuore nel giusto” ammonisce Terry in “Keep Your Heart Right” uno dei singoli di maggior successo di questo album.

In brightest day or darkest night
Don
’t give up the faith and keep your heart right,
Like a mountain stand for eternity,
Ohh your light will shine for the world to see

Keep your heart right

Non è facile rituffarsi nel caotico mondo del music business all’età di Terry, ma lui affronta la sfida con stile e sceglie una strada diversa da quella dei suoi contemporanei. La sua musica non è mai stata imbrigliata dagli schemi secolari del soul e del gospel. Lui che ha sempre navigato al di sopra dei generi e dei confini, anche oggi, tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo secolo, si muove in libertà assoluta riuscendo ad abbracciare jazz, folk, soul e blues e allo stesso tempo e riuscendo a mettere emozioni pure nelle parole delle sue canzoni.

Con l’album “Timepeace” arriva uno United Nations Award e ovviamente alla University of Chicago, dove Terry lavora come programmatore, si rendono conto della doppia vita del loro impiegato.

Rientrato da New York dove ha ritirato il suo premio Terry torna al lavoro dove scopre di avere soltanto 4 ore per liberare la scrivania e lasciare il suo incarico. Se questo non fosse successo Terry non sarebbe tornato alla musica a tempo pieno e forse noi non avremmo avuto la fortuna di ascoltare i capolavori pubblicati negli anni successivi: Lifetime nel 1999, Speak Your Peace nel 2002, l’album di remix del 2003 Total Recall e Lookin Out nel 2005.

Le collaborazioni in questo periodo sono infinite: Koop, 4 Hero, Beth Orton, Urban Species.

E poi ancora apparizioni negli albums di Jean Jacques Milteau, Grand Tourism, Kyoto Jazz Massive.

Dopo aver abbandonato la scena musicale non si immaginava che una ennesima occasione si sarebbe ripresentata. Lui stesso dichiara in una intervista alla stampa americana:

“Dopo tutto ciò che mi era successo negli ultimi anni non volevo tornare ad essere un musicista, mi ero comunque abituato a ricevere uno stipendio fisso ogni due settimane e a fare affidamento su quel denaro. Ma ora ringrazio Dio ogni giorno, perché se non avessi perduto il mio lavoro, non sarei dove mi trovo oggi”.

Un regalo che voglio farvi, per aver pazientemente avete ascoltato la storia di questo musicista, nasce da una ennesima collaborazione.

Terry presta la voce al singolo “Live with me” dei britannici Massive Attack e poi ne include una versione “suonata” nel suo ultimo album uscito nel 2009 “Hidden Conversation”. Qui le trovate entrambe, tanto diverse negli arrangiamenti così come nelle sonorità.

Ringrazio chi ha dimostrato bontà e pazienza ed è arrivato a scoprire il lieto fine di questa storia

e rimando tutti alla prossima puntata di Magic Carpet, fra un paio di lunedì.

Come direbbe il nostro Terry, in un occasione simile a questa….peace!!!

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