Matteo Ricci.Dàjiā hǎo! 大家好!
Buongiorno a tutti.
Nǐmen hǎo ma? 你们好吗?
State bene?
wǒ fēicháng hǎo! 我非常好!
io sto molto bene e sono molto felice di essere nuovamente all’interno di questo spazio da blogger radiofonico.

Come promesso oggi si parlerà sì del “mitico” Matteo Ricci, ma anche, imprescindibilmente, del nuovo anno lunare cinese in arrivo fra qualche ora, esattamente nel giorno di San Valentino, quindi doppia festa e doppi auguri!

Scusate la breve digressione, ma lo sapete che San Valentino martire è assolutamente a torto considerato patrono degli innamorati? E che quindi non avrebbe nulla da spartire con i “piccioncini” che festeggeranno domani? Ma ad essere sinceri esiste una leggenda che lo vedrebbe compiere un miracolo per riappacificare due giovani durante un litigio, facendo volare intorno a loro coppie di piccioni che si scambiano dolci effusioni d’affetto…da questo racconto, forse, la derivazione del termine piccioncini…comunque sia, perché si festeggia?!?

A questa domanda non so rispondere se non con logiche di mercato, ma va detto che questa festa cosiddetta degli innamorati, Qíngrénjié 情人节, è arrivata anche nella lontana Cina e che i giovani cinesi ormai la preferiscono alla tradizionale Festa di Qīxī ( o meglio Qīxījié七夕节) che cade il settimo giorno del settimo mese del calendario lunare. Questa festa trae, infatti, ispirazione da un’antica e affascinante leggenda sul romantico amore tra il pastore Niúláng 牛郎 e l’immortale Zhīnǚ 织女 che, separati sulla terra per volere di una divinità, da allora possono incontrarsi una sola volta l’anno, ovvero la notte del settimo giorno del settimo mese lunare, quando agli occhi degli innamorati splendono in cielo sotto forma di due stelle…

E qui scatterebbe una riflessione sulla numerologia in Cina…molto affascinante…ma non abbiamo tempo neanche oggi! Che il 7, o il doppio sette (rientrerebbe anche il numero 14=7+7?), sia la chiave numerica dell’eterno amore? Rifletteteci e se avete delle conferme in ambito numerico fatemelo sapere! E la crisi del settimo anno avrà origini in Cina?

Ma bando alle ciance, non so se ve ne siete accorti, ma in quest’ultimi mesi si parla molto più del solito di Matteo Ricci (per fortuna! Qualcuno sa dirmi se è stato inserito fra i personaggi del programma “Il più grande-italiano di tutti i tempi” su Rai due? Mi auguro di sì: se l’ha fatto la rivista LIFE, perché non dovremmo farlo noi?) Dicevo che si parla più del solito di Lì Mǎdòu (利瑪竇)perché nel 2010 si celebrano 400 anni dalla sua morte, avvenuta a Pechino (北京 Běijīng, ricordate?) l’11 maggio del 1610. Credo di avervi già fatto capire la portata di questo personaggio nella puntata precedente, nonostante qui in Italia non gli sia stata ancora resa sufficiente giustizia pur essendo un anello fondamentale nelle nostre relazioni con il mondo cinese, primo uomo non cinese ad aver vestito gli abiti di Mandarino (i Mandarini erano la massima espressione della classe dirigente di corte) e avendo aperto gli occhi sia agli europei (che si sentivano al centro del mondo, unici detentori di conoscenza e potere) e agli stessi abitanti della Terra di Mezzo, nei primi anni del ‘600, sull’esistenza di un’altra civiltà colta verso Occidente. A quei tempi la Cina, un po’ come in Europa, si riteneva la Civiltà, si chiamava 天下 tiānxià, cioè “tutto ciò che sta sotto il cielo”, quindi tutto il resto era considerato solo barbarie e niente di più. Lo stesso Matteo Ricci scriveva: “hanno un odio naturale a tutti i forastieri dal principio sino a questi tempi, parendoli che tutti sono barbari e loro sono il capo, anzi tutto il corpo principale del mondo». Quindi immaginate la difficoltà del lavoro di Matteo Ricci e in un certo senso quale miracolo sia riuscito a compiere.

La Stampa in questi giorni gli ha dedicato un articolo dal titolo L’Italiano che inventò la Cina in cui si parla proprio del cambio di visione del mondo da entrambe le parti. Si accenna inoltre ad una mostra molto importante che toccherà le tre principali città della Cina, 北京 Běijīng, 上海 Shànghǎi e 南京 Nánjīng, più Macao (Aòmén 澳门), con una selezione di 200 opere provenienti dalle maggiori istituzioni museali italiane e cinesi; tra queste ci saranno alcuni capolavori del Rinascimento italiano (Raffaello, Tiziano, Lotto, Barocci) che saranno per la prima volta esposti in Cina accanto a preziosi documenti dell’arte e della cultura dell’impero Míng (Míng cháo 明朝, che tradotto letteralmente significa “dinastia luminosa”, al potere in Cina dal 1368 al 1644). Il titolo di questa mostra itinerante è “Matteo Ricci: incontro di civiltà nella Cina dei Ming”. Un modo per ricordare la sua figura, complessa e affascinante: Ricci non fu solo un gesuita e un uomo istruito, fu anche matematico, amante e conoscitore della lingua cinese e dei suoi costumi, uomo coraggioso e dal grande carisma. Con umiltà riuscì a far breccia nella spocchia millenaria cinese e ripetendo spesso la formula “当不起” dāngbùqǐ” che in cinese significa “non ne sono degno”, predispose i cinesi ad una grande apertura nei suoi confronti al contrario di molti stranieri che ancora oggi irritano i locali con la propria presunzione. Conquistò la Cina con le armi pacifiche della scienza e dell’ umanesimo. Davvero un grande uomo.

(Questa la locandina della mostra itinerante in Cina)

Locandina della mostra itinerante in Cina.

Vi consiglio anche un altro brevissimo articolo comparso qualche giorno fa sul Corriere dal titolo L’arte del rispetto reciproco. Tempo di lettura stimato: meno di 3 minuti, facciamo come su Vanity Fair!

Ho letto infine un articolo giorni fa su China Files (un’agenzia di stampa specializzata in reportage e inchieste sulla Cina: è composta da giornalisti, videomaker, fotoreporter e sinologi di diverse nazionalità e con specificità differenti) In quest’articolo l’autore si chiedeva, a ragione (viste le accuse che lo stesso Ricci ricevette in vita dai suoi stessi confratelli e dalla Chiesa di Roma di aver portato in Cina un cristianesimo non genuino) cosa direbbe papa Ratzinger di questo gesuita ora…la Chiesa, in passato aveva rimproverato duramente Ricci e i suoi seguaci di aver creato un religione meticcia, “cristiano-cinese” e che, pur di far dei proseliti, aveva alterato il genuino contenuto della fede cristiana. Fu spesso male interpretato, perché non si conoscevano le condizioni della Cina, il carattere dei cinesi e l’ambiente nel quale il grande gesuita doveva svolgere la sua opera missionaria. A tutti questi accusatori, i quali non comprendevano quanto importante fosse una profonda conoscenza della letteratura cinese come “disposizione alla conversione universale di tutto il regno”, il Ricci rispondeva: “Io stimo più questo che aver fatto diecimila cristiani in più”. I principii sui quali padre Ricci impostò la sua opera apostolica furono invece molto semplici: massima simpatia e massimo rispetto dei valori spirituali e intellettuali dei cinesi; conoscenza approfondita della loro lingua; uso della scienza, della matematica, dell’astronomia, della filosofia, della letteratura e dell’arte dell’eloquenza per conquistare il favore e la fiducia dei colti e portarli solo successivamente alla conversione. Dopo lungo studio ed esperienze, decise di assumere un atteggiamento conciliante col confucianesimo, combattendo invece le altre due dottrine, buddhismo e taoismo, che egli chiamava “sette degli idoli”. Si preoccupava sempre di avere col prossimo uno spirito comprensivo, ospitale. Nelle parole dell’interlocutore cercava sempre quella particella di verità che vi era racchiusa, per trovare così un punto di conciliazione.

Prendendo spunto dall’articolo di China Files, mi sono domandata anch’io cosa papa Ratzinger pensi ora di questo gesuita…D’istinto avrei risposto ironicamente, se non fosse per le parole, inaspettate, di un’amica scout: ricevo una sua chiamata in cui entusiasta mi dice di aver ascoltato la prima puntata di “makINg China”, grazie alla quale ha scoperto l’esistenza di questo prezioso personaggio; qualche giorno dopo dall’ascolto riceve una e-mail in cu­i, riporto le testuali parole, trova: “…per aiutare i giovani e oltre a vivere bene la Quaresima, la Pastorale giovanile regionale ha pensato di utilizzare come sussidio di preghiera un testo pensato dalla diocesi di Macerata, in collaborazione con l’editrice missionaria EMI, in occasione del IV centenario della morte di Padre Matteo Ricci, missionario maceratese che raggiunse le terre dell’Asia per portare l’annunzio del Vangelo fino in Cina! Il sussidio si chiama RADUNATE IL MIO POPOLO…” . Direi che a distanza di 400 anni, mi sembra un buon passo avanti, un riconoscimento ufficiale non indifferente, no? Se a questo aggiungete che ho scoperto, con mia grande sopresa, che è stato scelto un comitato prestigioso in onore del quarto centenario ricciano ed è stata fatta una recente mostra vaticana dal titolo “Padre Matteo Ricci e la Cina” terminata il 24 Gennaio scorso, direi che i segnali di apertura e riconoscimento al valore umano e culturale di quest’uomo lampeggiano come insegne al neon!

(Nella rubrica audio viene trasmesso: brano cinese di auguri per il nuovo anno)

Ma chi era questo Matteo Ricci? Come arrivò nella Terra di Mezzo? E cosa lo rese così straordinario?

Un po’ di storia…

Matteo nacque a Macerata (che a quel tempo era sotto lo Stato Pontificio) il 6 ottobre del 1552. Studiò latino al collegio dei gesuiti nella sua città; poi si recò a Roma per studiare giurisprudenza. Chiese ammissione alla Compagnia di Gesù ed entrò nel noviziato di nascosto dal padre. Nel collegio romano seguì i corsi di retorica e filosofia, matematica, astronomia, cosmografia e altre scienze sotto il celebre padre Cristoforo Clavio, lo scienziato tedesco il cui nome è legato alla riforma del calendario detto gregoriano. Destinato alle missione dell’Oriente Asiatico, partì per il Portogallo da dove salpò per l’India. Sbarcò a Goa e iniziò a studiare teologia. Nel 1582 venne destinato alla missione cinese, e si recò a Macau (allora colonia portoghese nella costa sud della Cina e che dal 1999 invece è diventata regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare cinese, con il nuovo nome Aòmén 澳门) dove iniziò ad imparare la lingua. L’anno dopo, P. Ricci e una altro gesuita, P. Michele Ruggieri, entrarono nel territorio cinese iniziando il viaggio difficile e a tappe attraverso il paese, ma avendo come meta finale 北京 Běijīng e il cosiddetto “Figlio del Cielo” 天子 tiānzǐ, l’Imperatore: Ricci aveva capito che, per stabilirsi permanentemente in Cina, era importante soprattutto essere dalla parte dei potenti, ovvero dei mandarini, dei letterati e avere la stima e l’amicizia dell’Imperatore.

Dopo un tentativo d’adozione delle vesti giallo zafferano dei monaci buddisti, del resto poco stimati dalle autorità cinesi, Matteo Ricci preferì prendere l’abito dei letterati confuciani, tanto più che parlava la loro lingua bene quanto loro. Si presentò come “teologo, predicatore e letterato occidentale; si studiò di modellare la sua vita su quella dei letterati e dotti cinesi; adottò quindi l’abbigliamento proprio dei letterati. E con la foggia del vestito armonizzò, naturalmente, tutta la sua maniera del vivere esteriormente; si lasciò crescere barba e capelli, ciò che non facevano i bonzi; nello spostarsi da un posto all’altro della città si serviva della portantina, accompagnato da due o tre servitori.

Egli comprese subito che il suo compito era quello di non apparire uomo capace di rapide conquiste. In un primo momento era quindi necessario accontentarsi di diffondere il buon nome dei “barbari” missionari, che non cercavano guadagno, né conquistavano terre. E’ in questo sistema di adattamento, metodicamente studiato e applicato alle particolari condizioni della Cina, che consiste il merito principale e la gloria maggiore di Matteo Ricci.

Egli mostrò inoltre un senso di profondo equilibrio mentale nei riguardi della questione dei cosiddetti “riti cinesi”. Il culto verso gli antenati e gli onori resi a Confucio occupavano una parte ímportante nella vita dei cinesi. Dopo un’analisi attenta e profonda circa l’essenza e la interpretazione di essi, il Ricci decise sul significato puramente civile, sociale e nazionale di detti riti, e perciò, per agevolare l’inserimento della civiltà cristiana in quella cinese, li dichiarò compatibili con la pratica della religione cattolica, anche se questo, come dicevamo, gli costò pesanti critiche dai suoi confratelli di altri ordini.

Questo rispetto verso la cultura di un popolo antico e “civilizzato” e tanto altro, valse a lui e padre Ruggieri, primi due europei in epoca moderna, il permesso di stabilirsi in territorio cinese. Una grande conquista!

La prima occasione propizia per raggiungere Běijīng gli venne data nel 1598, quando il ministro dei riti di Nanchino (南京 Nánjīng, che significa “Capitale del sud”), suo amico, dovendosi recare nella capitale per la revisione del calendario cinese, decise di condurre con sé anche l’occidentale che conosceva bene scienza e matematica: ma la permanenza nella capitale fu breve. Matteo Ricci tornò a Nánjīng e nel lungo viaggio di oltre un mese in barca, egli perfezionò il dizionarietto portoghese-cinese su cui stava lavorando da anni (il primo lavoro sinologico del genere e che a distanza di quattro secoli viene ancora edito a Parigi a suo nome) annotando toni e consonanti aspirate e nel frattempo terminò il lavoro di parafrasi latina dei “quattro libri” confuciani: un lavoretto da niente!)

Nel frattempo si comincia a parlare molto di lui in Cina nel ceto colto e, raccomandato dai suoi amici di Nánjīng nel 1600 si rimette in viaggio per 北京 Běijīng, dove giunge il 24 gennaio 1601 e riesce finalmente a stabilirvisi definitivamente, grazie anche ai doni presentati a corte, tra i quali quadri religiosi, un orologio automatico e due prismi di cristallo (considerati “preziosissimi pezzi di cielo”). L’imperatore in persona se ne interessa e permette a Ricci e ai suoi di aprire una chiesa, anzi dispone che siano sostentati a spese dell’erario. Frequenti erano gli inviti al palazzo imperiale (anche se il padre gesuita e il figlio del cielo non si incontreranno mai direttamente), le visite dei più ragguardevoli mandarini, i quali lo salutavano e lo riverivano da pari fino a conferirgli il titolo onorifico di Studioso confuciano del grande Occidente (泰西儒士, Tàixī Rúshì).

Man mano che il Ricci missionario faceva progressi nello studio della lingua, traduceva o scriveva in cinese le cognizioni di matematica, astronomia e di cosmografia, a cui si era dedicato durante la sua permanenza a Roma. Con tatto e prudenza si diede a correggere le credenze astronomiche dei cinesi e le loro cognizioni geografiche, poiché, come egli stesso si esprime, “non si poteva in quei tempi trovare cosa più utile a disporre gli animi dei cinesi alla nostra religione di questa”. Mentre professava una schietta ammirazione per la Cina, faceva intravedere ai cinesi che c’era qualche cosa che essi non conoscevano e che egli poteva insegnar loro.

Le sue opere, accolte con singolare favore e ammirazione, trattavano di cartografia, matematica, filosofia morale, teologia e apologetica. Tra i lavori scientifici emerge il grande Mappamondo cinese (misure: m 3,75 x 1,80): l’imperatore stesso ne fu talmente entusiasta che nel 1608 ne fece fare una nuova ristampa e ne chiese 12 copie per sé. Copie di questo Mappamondo cinese ne rimangono, presentemente, a Pechino, Londra e nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Ricci vi raffigurò i continenti e le isole fino allora scoperti. Così veniva portata a conoscenza dei cinesi l’esistenza di molti nuovi e lontani Paesi e, quindi, della stessa Europa. Vicino ai nomi delle principali località il Ricci annotò notizie storiche; per esempio, vicino al nome “Giudea” si legge: “Il Signore del Cielo s’è incarnato in questo Paese, perciò si chiama Terra Santa”. Vicino al nome “Italia”: “Qui il Re della Civiltà (= Papa), nel celibato, si occupa unicamente di religione. Egli è venerato da tutti i sudditi degli Stati d’Europa, che formano il romano impero”. Nelle mappe molti dei nomi cinesi creati da Ricci per i paesi europei sono in uso ancora oggi. Le mappe, incise su blocchi di legno, potevano essere stampate in molte copie ed ebbero diffusione anche in Corea e Giappone. Ai loro margini, seguendo la tradizione cinese, Ricci aggiungeva disegni e annotazioni per illustrare il sistema tolemaico, il meccanismo delle eclissi di Sole e di luna, e tavole con le posizioni dei pianeti. In tutte collocava, molto diplomaticamente, la Cina al centro.

(Nella rubrica audio viene trasmesso: canzone cinese di augurio per il nuovo anno)

Matteo Ricci scrive un libro sui paradossi che tanto piacque ai letterati, un’opera di carattere morale: il titolo in cinese significa propriamente: “Dieci capitoli di un uomo strano”. L’uomo strano era proprio il Ricci, considerato singolare dai cinesi, oltre che per le sue caratteristiche somatiche europee e per la sua barba fluente, soprattutto per la sua prodigiosa memoria, l’inesplicabile celibato e la sua fede in Dio da lui professata apertamente. L’appellativo di “strano” assumeva un significato benevolo presso i cinesi, i quali vi vedevano un’allusione a una celebre frase di Confucio: “L’uomo è strano per gli uomini, ma è simile a Dio”.

Come dice il titolo stesso, il libro si compone di dieci capitoli, nei quali si citano delle massime tratte da filosofi occidentali, da dotti cristiani e dalla Sacra Scrittura, comunissime ai cristiani, ma veri paradossi per i cinesi. Per esempio: “È utile pensare constantemente alla morte”; “È bene esaminare le proprie colpe”; “È infelice il ricco avaro, mentre può essere felice il povero mendìco”.

Il libro piacque molto e contribuì a far aumentare presso i dotti cinesi la stima anche verso i “letterati occidentali”.

Piacque altrettanto il suo Trattato sull’amicizia, che fu accolto con grande plauso dall’elite intellettuale cinese, in cui il Ricci riporta in cinese detti dei filosofi e santi occidentali sull’amicizia… Curiosità: per i miei amici pesaresi, sarà un onore sapere che la versione italiana di questo trattato, rimasto inedito per un paio di secoli, fu stampato per la prima volta addirittura a Pesaro nel 1825, per opera di un certo Michele Ferrucci.

Tra l’altro Ricci dedicò parte del suo tempo anche alla stesura di un cospicuo gruppo di scritti destinati ai lettori europei, fu pittore, scultore, compose canti religiosi in cinese e iniziò a Beijing la costruzione della prima chiesa pubblica. Parallelamente il suo lavoro di apostolato ottenne straordinari risultati: vi dico solo che nel 1584 i cattolici cinesi in Cina erano solo 3; nel 1596 superavano di poco i 100; alla morte di Ricci vi erano già circa 2.500 convertiti, di cui 400 solo nella capitale.

Egli amò i cinesi, amò la loro storia, ammirò sinceramente la loro civiltà e la sua tensione fu sempre verso una condivisione ed un’integrazione dell’altro nel rispetto delle relative identità. Fu un uomo talmente straordinario che anche la sua morte ebbe qualcosa di eccezionale: un editto imperiale ad hoc autorizzava la sepoltura del suo corpo nella capitale, unico straniero a ottenere questo diritto. E ancora oggi la tomba di Matteo Ricci si trova a Běijīng, dopo le guerre dell’oppio, il colonialismo, la lunga marcia, la repubblica popolare e la rivoluzione culturale: a testimonianza di quanto i cinesi amino Lì Mǎdòu (利瑪竇).

Dopo la sua morte un letterato cinese scrisse: «Li Madou ha aperto gli occhi della Cina sul mondo” e se posso permettermi, non solo quelli a mandorla.

(Nella rubrica audio viene trasmesso: danza del leone)

E adesso, in questi ultimi minuti insieme, prepariamoci a salutare l’anno trascorso sotto l’influenza del “bue”, del 牛niú e ad accogliere a braccia aperte l’anno della “tigre”, 虎 hǔ!!!

Sappiate che in Cina il capodanno cosiddetto lunare农历新年Nónglì xīnnián ( perché cade il giorno della seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno e quindi varia di circa 29 giorni ogni anno) è meglio conosciuto come Festa di Primavera  春节 Chūnjié: è considerato un momento importantissimo dell’anno e diversamente dal nostro San Silvestro, dura 15 giorni, culminando nell’affascinante “Festa delle Laterne” 元宵节Yuánxiāojié.

In questo periodo, i cinesi tendenzialmente tornano alle loro case, dai proprio familiari, ovunque essi siano sparsi nel paese…è infatti un momento dell’anno in cui i mezzi di trasporto, pubblici e privati, vengono letteralmente presi d’assalto, quindi attenzione se siete in procinto di recarvi in Cina o siete già in loco…

La Festa di Primavera viene celebrata anche in molti altri paesi, come Korea, Mongolia,Nepal, Bhutan, Vietnam e Giappone, oltre che nelle numerosissime comunità cinesi sparse per il mondo.

Se volete accogliere al meglio questo nuovo ciclo, vi consiglio prima di tutto di pulire le vostre case a fondo per mandare via la sfortuna dell’anno passato e accogliere meglio la fortuna che verrà (quindi mi raccomando i primi giorni non spolverate la casa per evitare che quel poco di fortuna che si è depositata non vada buttata via!), poi vestitevi di rosso, sotto, sopra, in testa, accessori, scegliete voi…basta che in queste due settimane sia il rosso a comandare…

Questo colore, i fuochi di artificio, i canti, le urla, le percussioni e tutto ciò che troverete per fare rumore, terrà lontano il mostro Nian 年 che nell’antica Cina era solito uscire ogni 12 mesi dalla sua tana per cibarsi di essere umani facendo scorta!

Vi faccio gli auguri per questo nuovo anno, che la tigre vi doni il suo coraggio, la sua audacia per fare cose che non credereste possibili: 恭喜发财gōngxǐfācái e 祝你新年快乐zhùnǐ xīnnián kuàilè! E abbandonandomi a romanticherie che solitamente non mi appartengono, aggiungo un augurio per la festa dei piccioncini: 情人节快乐Qíngrénjié kuàilè!!!

Ci sentiamo fra due settimane per la terza puntata di makINg China che andrà in onda il quattordicesimo giorno della Festa di Primavera, quindi il giorno prima della bellissima Festa delle Lanterne!!!

Arrivederci da Middle China Girl 再见 zàijiàn!

3 Commenti

  1. Io non avevo mai sentito parlare di Matteo Ricci. Complimenti per la rubrica e grazie per le informazioni sulla Terra di Mezzo!!

    P.S. aggiungo…….che bella voce!!!!!!!!

  2. Matteo Ricci aveva capito da che parte stare per realizzare la sua missione di uomo ponte tra la Cina e l’Occidente.Cioè dalla parte dei Mandarini !
    Se mai dobbiamo chiederci da dove nasce l’odio dei cinesi per il Taoismo e il Buddismo che era presente già a quiei tempi.
    Se mai si riuscirà a superare la diversità religiosa il mondo farà grandi passi in avanti.

  3. Perchè Barbare Padre Ricci ce l’aveva tanto con buddhismo e taoismo? Cosa c’entrano questi con gli idoli?
    Non confondere la EMI con il resto della chiesa, perchè l’editrice missionaria è la prima fortissima critica di questa, e non mi stupisce affatto che stimi un personaggio invece non troppo ben visto dai chierici filo-papali…

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