Mercato contadino boliviano
Ho da poco iniziato a risalire la cordigliera e già mi devo assolutamente fermare. Dicono che da queste parti ci sia una piccola comunità rurale dove ogni domenica mattina si svolge un vivacissimo mercato contadino. Salgo sul primo autobus e parto. Rettifico: prendo l’unico pullman settimanale che passa da queste parti e va più o meno verso sud-est. Trascorro tredici ore di terrore. Tredici ore che potrebbero essere la metà se la strada fosse asfaltata.

Appena a bordo mi rendo conto che non è un pullman, bensì un vecchio tram di quelli con i sedili in plastica non reclinabili. Il riscaldamento non c’è, la luce nemmeno e, come se non bastasse, sono stati venduti dodici biglietti in eccesso: tre persone si sono sedute a terra attorno all’autista, cinque se ne stanno in piedi nel corridoio, una bambina dorme sdraiata a terra, impossibile da non pestare, e due si sitemano nell’ultima fila che diventa così una piccionaia a sette posti. Chi ben conta si accorge che manca una persona. L’hanno sistemata nella stiva sottostante, assieme ai bagagli. Lo giuro.

Cerco il posto numero 26 al buio più totale e lo trovo, è già occupato. C’è un orso che dorme come un boliviano enorme. C’è un boliviano enorme che dorme come un orso, il che è rarissimo visto che l’altezza media dei boliviani è di un metro e mezzo. Insomma, è molto grande e sta dormendo. Io, Riccioli d’Oro, provo a propormi senza invadere troppo la sua intimità. Questi si sveglia e subito si arrende, birichino. Mi cede il posto ma si prende una minuscola rivincita appoggiandosi al mio schienale. Mentre tutti si stanno preparano ad affrontare la notte sento bisbigliare in lontananza due individui.

Sto cercando di capire che lingua stiano parlando quando un lampione riduce improvvisamente l’anonimato: sono Stuart e Steffany, due inglesi di Bristol. Per colpa del nazionalismo estremo che porta gli anglosassoni a pensare che tutto il mondo parli la loro lingua, quando invece qua comprendono a malapena lo spagnolo, non sono riusciti ad ottenere il loro strapagato posto e si sono arresi a passare la nottata in piedi nel corridoio. Provo un pò di compassione e mi autoincorono interprete, riuscendo a far ottenere loro i propri sedili. Fuori la luna illumina vallate da sogno e precipizi mozzafiato.

La strada è larga poco più di tre metri e per superare una curva a gomito l’autista deve addirittura ricorrere a due retromarce. Dormire è impossibile perché trema tutto: dalle sospensioni alla carrozzeria, dai sedili ai finestrini. Quando il pullman si ferma fuori sta albeggiando. Finalmente scendo e tutt’attorno sta prendendo vita il mercato di Tarabuco.

Bolivia: Tara

Tarabuco è un minuscolo agglomerato di casette bianche con tetti rossi situato ad un altura di 2500 metri ed è talmente lontano da ogni forma di civiltà che la prima domanda che in genere ci si pone è perché si sia sviluppato proprio in quella posizione. Lo chiedo a dei passanti -beh, in verità sarei io il passante- a dei contadini locali, ovvero tarabuquenos, e mi spiegano che questa vallata sia il perfetto punto d’incontro tra i vari insediamenti andini circostanti.

L’usanza vuole che ogni domenica mattina centinaia di contadini scendano dalle montagne per incontrarsi in piazza a vendere o scambiare i propri prodotti. Si vende di tutto: giganti sacchi contenenti foglie di coca, alcol puro venduto in grossi barili d’acciaio, sandali di gomma, animali vivi, animali morti, animali che non si capisce se siano vivi o morti, strumenti agricoli, metalli lavorati su misura al momento, cibi essiccati e qualsiasi cosa si possa rimettere in sesto per essere venduta. Ma ciò che rende questo piccolo mercato unico al mondo sono le meravigliose stoffe fatte a mano dalle comunità indigene locali.

Vengono esposte a centinaia in ogni bancarella e dipingono il mercato di mille colori, creando un’oasi felice immersa tra chilometri e chilometri di grigio, marrone e verde militare. Colorate con prodotti naturali, rappresentano un capo che un contadino boliviano non può non avere e possono benissimo sostituire sciarpe, coperte, asciugamani e stuoie. La sera, tornando dai campi, ci si avvolge dentro il raccolto per poi legare il tutto alla schiena del proprio lama ed iniziare a camminare verso casa. Vengono inoltre utilizzate dalle signore come borse, borse porta-neonati.

L’inverno è alle porte e si corre ai ripari, la gente si veste.
Mercato in Bolivia

Di entità da non sottovalutare è un fattore che da circa vent’anni inquina questo pittoresco panorama: il turismo. Sono più o meno le dieci di mattina quando il mercato cambia d’aspetto iniziando a riempirsi di persone provenienti da tutto il mondo. Ci sono nordeuropei e nordamericani che, sempre attenti a non socializzare troppo, formano piccoli gruppetti di benestanti che lasciano ogni loro forma di comunicazione con la società circostante in mano ad uno strapagato interprete. Portano tutti quei tremendi cappelli, da poco comperati, stile “cowboy per un giorno” o “io c’ero”. Hanno zaini sempre più piccoli e facce ricoperte da centimetri quadrati di crema protettiva. Si riconoscono da un chilometro di distanza, sono tutti uguali. Forse perché nel caso scoppiasse un’improvvisa guerra saprebbero già chi non dover uccidere.

Poi ci sono i latini che, non avendone mai voluto sapere di vivere valutando rischi, avanzano spavaldi cercando simpaticamente di mescolarsi con la gente del posto, ipotizzano la loro lingua e provano in una mattinata a vivere come loro fanno da sempre. Proprio per questo rimediano diarree ed insolazioni. Quando va bene. Si distinguono per l’elevato volume con cui sostengono anche la più tranquilla delle conversazioni. Nel mezzo ci sono gli asiatici, eterni freintesi, che pagano qualsiasi cosa tre volte tanto. Siamo bellissimi, mai come oggi mi rendo conto che i nostri nonni avevano ragione: si stava meglio quando si stava peggio.

4 Commenti

  1. Eh cugino caro, riusciremo ad andarci insieme in uno di questi posti, o in altri simili che sapremmo trovare! In cima all’Atlante marocchino ad esempio c’è un mercato simile, me lo ricorda un pò, solo che non ci sono i bellissimi colori di queste stoffe che ci mostri qua, però a gente viene col mulo veramente dai luoghi più lontani e disparati. Sai che uno di quegli abiti lì, quechua, o di una etnia vicina, il presidente indio Morales non lo lascia mai, e quando se l’è messo ad un ricevimento in Spagna dal re Carlos, questi e la stampa si sono scandalizzati?!
    Chissà come sarà quando, a breve, anche tutti loro (e noi) torneranno a stare come quando si stava peggio…
    Grazie Maurino

  2. grazie amico mio per questi scorci di vita vera ed emozionante, racconti come questo mi fanno sentir meno la tua mancanza…

  3. Grazie Giuseppe, davvero. Sono commenti come i tuoi che mi fanno continuare a compartire il mio diario con web. Se ti sembra di essere qui con me allora inizia a sentire freddo perche` tra poco si sale di circa mille metri!! ti aspetto ogni sabato. un abbraccio e grazie ancora;

  4. Complimenti per come scrivi. Riesci a descrivere talmente bene quei bellissimi posti, facendoci partecipi delle tue emozioni, ke sembra “quasi” di essere lì con te.

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