Sale Grosso

Sono le otto di mattina ed il forte vento sembra penetrare fin dentro le ossa. Sto camminando verso la stazione di Potosì con in mano una tartina integrale di verdure. Ne ho presa una ogni mattina per una settimana ed ogni mattina la proprietaria dell’alimentari ha cercato di vendermela al doppio rispetto a quella del giorno precedente.

Mi devo abituare a contrattare ogni prezzo visto che non posso smettere di essere biondo con gli occhi verdi.
In Bolivia camminare è l’unico modo per arrivare puntuale. C’è quindi un motivo se mi sto facendo spezzare le dita delle mani dal gelo. Lasciarmi certe vette alle spalle mi rasserena un pò ma ho già nostalgia di queste stradine acciottolate situate in cima al mondo.
La mia prossima fermata sarà una delle mete fondamentali del viaggio.

Diversi documentari mi hanno incollato al divano per notti intere, guide turistiche mi hanno fatto fantasticare per settimane dalla sedia di una biblioteca ed i racconti di Marco, che ci era già stato, hanno reso il tutto molto più reale e possibile.
Ora è il mio turno, tra poco ce l’avrò di fronte. Sto per affrontare il Salar di Uyuni, un gigantesco lago salato situato a tremila metri di altezza. Un garzone lancia gentilmente il mio zaino in cima al fantozziano autobus che è in partenza per Uyuni. Per fortuna non ho nessun oggetto di valore. Di valore materiale, intesi. Zaino mio, spero di riabbracciarti alla stazione. Lancio l’ultima occhiata e noto che lo stanno legando al tetto con una corda. Entro e cerco il mio sedile.

Mi è stato assegnato un posto tra le cinque poltroncine della fila in fondo all’autobus. Quelle ambitissime in tutte le gite scolastiche. Da sinistra verso destra: donna incinta che tiene sulle ginocchia una bambina con in mano un cesto di vimini pieno di erbe, me medesimo, uomo con pericolosissimi cartoni di uova che sistema a terra davanti alle proprie gambe, donna con una gallina viva dentro una borsa che tiene sotto braccio e vecchietto finale che dorme e non si sveglierà mai fino all’arrivo. Si aggiudica il premio la donna con la gallina. Suffragio universale.
Eccetto il costante tremore ed alcune salite, che l’autista supera solo ricorrendo alla prima marcia, tutto fila liscio.
Sto parlando con due francesi quando l’autobus svalica un passo ed improvvisamente appare un panorama che difficilmente dimenticherò.

Paesaggio boliviano

Scendiamo tutti a valle assieme a sole e temperatura.
Alla stazione di Uyuni l’autobus viene letteralmente assalito da una dozzina di individui intenti ad accaparrarsi turisti per offrire loro pacchetti turistici. Mi correggo, per riuscire a vendere loro pacchetti turistici.
Zaino in spalla, li dribblo in cerca di un qualsiasi posto dove il vento non possa entrare. Ora è ufficiale: Uyuni è molto più fredda di Potosì, nonostante sia almeno mille metri più in basso. Nell’ostello si congela, devo ricorrere al piano C: compro subito una calzamaglia e mi infilo sotto le coperte. Forse sto iniziando ad avere paura del buio. Regredisco.
La mattina è invece splendida. Sono le nove quando esco, sono in maniche corte. L’aria è fresca ed il sole già alto.

Uyuni

Ogni agenzia ha la propria jeep che attende solo di riempirsi di turisti per partire. Non tutte hanno lo stesso itinerario.
Alcune agenzie effettuano escursioni giornaliere, altre invece vendono vere e proprie avventure di due, tre o quattro giorni.
Cosa c’è di meglio di una vera e propria avventura a quattromila metri? Ci sono tante altre cose di meglio da fare. Basta avere fantasia.
Ricordo che Amparo, una ragazza catalana conosciuta in un ostello a Samaipata, mi trasmise terrore con il racconto della sua troppo turistica avventura al lago: “Siamo stati via quattro giorni e sono stata quattro giorni seduta in auto per poter uscire solo nelle fermate che effettua qualsiasi agenzia. Ad ogni fermata ci hanno dato circa un quarto d’ora di tempo per fare delle foto.

Le stesse foto che fa chiunque. Allontanarsi era impossibile, si congelava. Potessi tornare indietro farei il giornaliero..”
Che mi posso inventare? La fortuna mi aiuta facendomi reincontrare i due ragazzi francesi conosciuti sull’autobus.
Ci bastano poche battute per comprendere di essere sulla stessa linea d’onda, è colpo di fulmine.
Proviamo a personalizzare un’escursione cercando di evitare le pseudo-noiose soste ai mercatini e al cimitero dei treni.
Nessuno vuole complicazioni. Gli autisti si inventano che è pericoloso allontanarsi dai sentieri battuti perché può succedere qualsiasi cosa: può calare il buio all’improvviso, la jeep può bucare facilmente e si può perdere la strada del ritorno.
Persino diversi turisti, che inizialmente sembravano apprezzare il nostro spirito di avventura, si lasciano convincere dai racconti, cominciando ad osservarci come se fossimo clienti scomodi.
Non riesco a spiegare che il buio non può calare all’improvviso quando si possiede un orologio, che le auto dispongono di due ruote di scorta e che è impossibile perdersi attraversando, con una bussola in mano, un lago salato che nel suo punto di massima estensione misura sessanta chilometri di diametro.

Il lago salato di Uyuni

Tutte le auto iniziano a lasciare la città e la frenesia ci istiga al conformismo. Stiamo per arrenderci al pacchetto turistico ma nel giro di dieci minuti succede di tutto: conosciamo quattro studenti brasiliani che si sono appena svegliati e non disdegnano la nostra escursione. In poco tempo confermano la loro adesione ed iniziamo subito a cercare un autista.
Se prima eravamo in tre a ballare l’Hully Gully, adesso siamo in sette a ballare l’Hully Gully. Sette è il numero perfetto.
Sette sono i posti nella jeep, autista escluso. Notiamo che un signorotto, che non è riuscito a riempire la sua jeep, sta passando i suoi turisti ad un’altro mezzo della medesima agenzia. Non avrà mica intenzione di tornarsene a casa a macchina vuota? Lo raggiungo per fargli un offerta che non può rifiutare. Questi subito si mostra titubante, ma ha negli occhi il simbolo del dollaro. Alla fine lo convinciamo. Si chiama Elias, lui è ufficialmente il nostro uomo.

Partiamo in men che non si dica. Abbiamo tutti tra i venticinque ed i ventisette anni ed il livello di eccitazione generale è alle stelle.
Dopo qualche minuto siamo già dentro al lago e l’unico margine di riferimento che ha il mio occhio è il cofano della macchina, attorno è tutto bianco.

Sovrannaturale è il Salar di Uyuni. Durante la stagione delle piogge (ottobre-marzo) è un vero e proprio lago, ma ora che siamo in inverno viene completamente seccato dai raggi del sole e si riveste con un pavimento di lastre bianche.

Salar di Uyuni

Attraverseremo il Salar fino all’Isla del Pescado, un’isola situata nel cuore del lago.
Dentro la jeep diventiamo ben presto tutti amici. Elias dice che c’è un punto preciso del lago dove il tempo si ferma, il paesaggio scompare e si può ascoltare la voce di madre terra nel silenzio più totale. Siamo tutti d’accordo nel cercare quel punto nonostante Elias non si ricordi perfettamente le coordinate. Costi quel che costi, abbiamo ancora sette ore di sole.

Arriviamo a destinazione in poco tempo. Era più facile di quanto si potesse pensare. Scendiamo tutti dalla macchina ma non parla nessuno. Nord, sud, est ed ovest sono diventati trecentosessanta gradi di orizzonte. Mi sembra di essere su un altro pianeta, anche se non sono mai uscito dalla Terra. L’emozione è talmente forte che rasenta la paura.
Per un attimo ripenso all’autista che stamane mi diceva quanto fosse estremamente facile perdersi, ma poi mi rendo conto che per tornare al punto di partenza sono sufficienti quaranta minuti di auto nella direzione opposta di quella in cui stiamo andando.
Sbalorditi rientriamo in macchina ed in poco tempo raggiungiamo l’Isla Del Pescado. Mi meraviglio di come riescano a sopravvivere tutti questi cactus ai quattromila metri di altezza e ai meno quaranta gradi di una notte invernale.

Quasi tutte le agenzie fanno di questa meta la tappa principale della propria escursione, per questo le sponde dell’isola si riempiono di vetture. La baia principale raccoglie tutti i turisti che se ne stanno seduti in tavolini di pietra a prendere il sole. Non ci sono strade, tantomeno sentieri, solo due casette fatte di pietre. E un bagno a pagamento.
Sull’isola vive una famigliola deliziosa: marito, moglie e due figli. Ricevono turisti da anni, offrono caffé e pasti veloci.
Dicono di fare spesso feste sull’isola e molta gente resta a dormire con loro. Vivono di essenziale e fondamentalismo.
Mi arrampico sul picco principale dell’isola e la vista è mozzafiato. Cerco di immaginarmi quante stelle si riescano a vedere di notte, dovrebbe essere meraviglioso. Strisce di pneumatici delimitano un’autostrada immaginaria e riesco a distinguere dall’alto le diverse strade per raggiungere il vulcano, per inoltrarsi nella riserva naturale e per tornare a Uyuni.

Decidiamo di fermarci tutto il pomeriggio per goderci questo posto fino in fondo e veniamo premiati quando tutti gli altri turisti, al contrario, vedono il loro tempo di visita all’isola scadere e sono quindi quindi costretti a rientrare in macchina per andare a fare foto altrove. In meno di un ora rimaniamo soli, seduti sulle rocce, a bere una tisana con la famigliola.
Il sole sta calando sul lago, è un momento indescrivibile. I boliviani parlano di Morales, i brasiliani giocano a carte, i francesi fanno migliaia di foto uguali alle stesse piante ed io resto li, seduto, a ringraziare la Bolivia per un altra giornata indimenticabile.

Giornata indimenticabile in Bolivia

2 Commenti

  1. Ciao, anche io vorrei ballare l’Hully Gully non percorrendo i soliti itinerari. Sarò ad Uyuni ad Agosto. Consigliami. Simona

  2. Maurino mio caro ti rendi conto di cosa ti sta dando questo viaggio, vero? Il vero senso di tempo e spazio, ossia il mondo intero! Quant vorrei esser lì con te e i Boliviani a parlar del mio caro Morales! E visto quello che ci mandi da lì, nonostante mi manchi, mi verrebbe da dirti di non tornare più… Sennò basta che venga io, prima o poi…

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui