Diaries 91Pochi giorni fa Evelina Santangelo scriveva, su Nazione Indiana, del calvario della madre di Sarah Scazzi in diretta televisiva, “o meglio, il «nostro» calvario collettivo di telespettatori incapaci di staccarci dal video, anzi, da quel volto letteralmente pietrificato di quella madre, che il video ostinatamente restituiva, violandolo in un parossismo di morbosità e dolore”.

Ieri otto interminabili minuti ci hanno mostrato l’indifferenza alla metro romana davanti alla ragazza rumena colpita al volto per un litigio.

E dov’è il discrimine? Quale differenza c’è tra una ragazza portata via, o uccisa, o scomparsa di sua volontà – nessuno sapeva ancora cosa realmente fosse accaduto durante la diretta di Chi l’ha visto? – e una ragazza stesa per terra, forse viva, forse morta, ma stesa lì, sul bancone della realtà?

L’uomo è un animale curioso, è vero. Ci dobbiamo fermare e guardare. Lottiamo contro il ribrezzo, contro il pudore, contro tutto ciò che ci hanno insegnato e che insegniamo ai nostri figli, ma dobbiamo sapere.
È il nostro desiderio più autentico, dare un senso alle cose. Poi c’è chi è alla ricerca di un senso profondo per sé, e chi cerca solamente un significato di superficie su cui discorrere a cena con gli amici.
E allora, perché davanti a una donna stesa per terra non vogliamo sapere nulla di lei? Perché se due persone litigano non ci interessa sapere il motivo, e vogliamo ignorarle quel tanto che basta che ci porti lontano da lei, da lui, da questi che un bel giorno fanno una cosa che non si deve fare, che sappiamo che è ingiusta, perché violenta, perché irragionevole, ma noi no, non ci fermiamo e non ci chiediamo quale sia il senso, questa volta – noi dobbiamo solo andarcene, e il prima possibile.

Tutti vittime o tutti carnefici?

Quante volte sono passata vicino a un ubriaco che non si teneva in piedi e ho solo pregato che non mi crollasse addosso senza pensare a chiedergli se aveva bisogno di aiuto? Quante volte ho visto litigare in strada due ragazzi e ho sperato, in silenzio, che non fosse nulla di grave – di così grave da far succedere qualcosa a cui avrei dovuto reagire?
La reazione, ecco. Quali sono i nostri tempi di reazione? Quando riusciamo a capire che c’è bisogno di noi e smettiamo di pensare al pericolo di essere derubati, insultati o bastonati a nostra volta?
La reazione, la giri e di là c’è la paura.

Sarah è là, lontana, non sappiamo nulla della fine che ha fatto, ma se cominciamo a capire che questa fine si sta rivelando, che il momento è quello, per noi, di sapere cosa è accaduto, ci fermiamo e guardiamo. Sarah e là, come sono là quelli intrappolati nelle lamiere degli incidenti accanto ai quali sfiliamo, nelle nostre macchine, al sicuro.
La donna è a terra, davanti a noi, non sappiamo nulla, e non vogliamo sapere nulla. Ci basta arrivare a casa, senza che nessuno ci abbia toccato, strattonato, insultato.

Leggiamo un romanzo, la letteratura ci permette di essere in più luoghi contemporaneamente. Ci permette di vivere più tempi in un unico momento, e alla fine, sì, alla fine ci restituisce anche il ‘senso’ di quei luoghi e di quei tempi, ed è per quel senso lì che leggiamo fino all’ultima pagina.
Ma quando impareremo a leggere un rigo soltanto? Senza sapere niente del prima, del dopo, di quello che è stato o che sarà, niente. Quando sapremo leggere solo una parola, quella parola che ci consente di chinarci verso una donna, un ragazzo, un vecchio, verso una persona reale e di correre il rischio?

Mentre questa società di sfalda e ci perde. Mentre la politica è violenza, inimicizia e diatriba di interessi personali. Mentre nessuno si fida più di nessuno, e i bambini ci chiedono indietro i loro nomi e noi li ridaremo, tutti, uno per uno, a prezzo della nostra anima – impariamo a esistere, impariamo a correre questo rischio.

Federica Campi

6 Commenti

  1. E infatti due giorni dopo: per Francesco Giro, sottosegretario ai bei culturali e parlamentare del Pdl, Alessio Burtone, il ragazzo che ha sferrato il pugno micidiale che ha portato alla morte Maricica Hahaianu, non deve andare in carcere. Lo dice in una nota in cui spiega che “non c’è pericolo né di fuga né tantomeno di inquinamento delle prove, visto che tutto è stato registrato dalle videocamere. Non credo che sia la soluzione migliore gettare in galera un giovane di 20 anni coinvolto in un episodio seppur gravissimo e dagli effetti devastanti. Ora – prosegue Giro – serve una precisa lettura dei fatti. Il ragazzo dovrà pagare per quello che ha fatto. Ma il carcere non mi sembra in questo caso la soluzione migliore, anche per la dinamica dell’episodio”. Ecco la dinamica dell’episodio! Vediamo che lettura verrà fatta, c’è da tremare. In fondo quella era rumena, e l’ha pure minacciato e spintonato.. dai come dire.. un po’ se lo è pure cercato.

  2. In punta di piedi, dopo questi bellissimi commenti volevo condividere un pensiero.. in questo momento ho appreso che la donna aggredita è morta, e ho letto le dichiarazioni del sindaco Alemanno, che dice che ha incontrato per qualche attimo il marito della donna e che gli ha fatto una buonissima impressione, questo a testimonianza del fatto che “ci sono tantissimi immigrati che lavorano seriamente e con grande impegno a favore della comunità italiana.” Allora ho pensato a cosa sarebbe successo se a sferrare quel pugno fosse stato un rumeno e a cadere morta una donna italiana.

  3. @ Erika M. Sono sempre colpito quando constato la capacità di questo blog di favorire il confronto e la riflessione, sia appassionata e sopra le righe come accade spesso, sia pacata e intima come ha fatto Lei. Grazie

  4. Avrei tanti aneddoti a questo proposito, paradossalmente proprio dal mondo dell’educazione. Educatori, formatori, genitori che spengono piuttosto che dare voce, anche quando i bambini continuano a chiederci di ridare nomi a se stessi e anche alle cose che vedono, che sentono che vivono.
    Adulti che guardano e osservano senza voler essere visti, senza entrare dentro le situazioni, senza voler lasciare segni.
    adulti che si allontanano dalla responsabilità per farne pura teoria, il più delle volte in contraddizione con l’agire quotidiano.
    Vivo la rabbia di mamma e di donna, che lavora nell’educazione intesa come possibilità di qualcosa di diverso, di fronte questi atteggiamenti. Mi rafforza però il grido condiviso di tante persone che hanno ancora voce viva, di testa e di cuore.
    Per offrire nuovi orizzonti di senso…

  5. Mi pare interessante anche la chiave di lettura che dava (riferendosi alla politica, ma penso che sua generalizzabile alla società in genere) Travaglio tempo fa, analizzando l’assenza di giudizio di tante persone di fronte alle nefandezze di tanti politici, emerse alla luce del giorno, e trascurate dagli elettori. Diceva che queste cose, per quanto gravi (si parlava anche de L’Aquila) vengono ormai percepite come esterne a noi, ed alla nostra società. Come se accadessero altrove. Ci ridiamo, o comunque non gli diamo mai seguito, quando sappiamo delle collusioni politiche con le mafie, dei messaggi su Mangano eroe, per arrivare alle intercettazioni di chi ride 2 minuti dopo il terremoto de L’Aquila perchè vede un profitto sicuro. Anche noi spesso ridiamo delle nefandezze che scopriamo sui nostri politici. E sospendiamo il giudizio. Come fosse un film, o un romanzo. Basta spegnere o girare pagina. O non fermarsi a vedere meglio cosa è successo ad una donna per terra…
    Cito solo un piccolo aneddoto finale, che mi successe tempo fa: mi ritrovai con la mia macchina fermo in mezzo ad una strada, perchè un motorino ed un’auto si erano accostati per litigare, per futili motivi. E il ragazzo del motorino era protruso dentro l’auto a prendere per la collottola il conducente. Mi trovai a scendere d’istinto e andargli semplicemente a dire: “ma come siete messi, vi rendete conto”? Fu bellissimo perchè non mi assalirono, nè reagirono in alcun modo, ma il senso del ridicolo li pervase così tanto che cominciarono a farfugliare scuse risibili e se ne andarono…
    Basta pochissimo a volte…

  6. Densa reazione di testa e cuore di una donna. bella e vera.
    Allora, leggendo, sento urlare da dentro una domanda come fosse un grido di rabbia. Come si fa?
    come si fa “diversamente”, come si vive escendo dalle dinamiche umane più disumane come quelle che vediamo in maniera più che palese nei comportamenti di massa?
    E mi viene in mente Michel Foucault.
    Delicato, femminile, dal pensiero così lieve da essersi insinuato nelle pieghe più nascoste della nostra cultura.
    Il potere è un mostro intangibile, quasi impalpabile che poi si cristallizza in istituzioni, azioni e corpi, regolamenti. Ma il potere nasce e si riproduce tutti i giorni dai “discorsi”, dalle relazioni (per uno sguardo sull’autore http://www.filosofico.net/foucault.htm).. anche quelli fra due individui in fila, anche nella violenza di un pugno fra di essi o fra le interminabili discussioni e piccole violenze di una coppia, nel non ascoltare i nostri bambini ( vedi per esempio la pecora nera di Ascanio Celestini) fino all’orrore che abbiamo visto in casa Scazzi.
    Spiegarlo prenderebbe molto tempo, ma lo si può rendere così: è come se il potere fosse una credenza, un sistema di credenze. un dio in cui crediamo e che serviamo tutti giorni e cresce con ogni singolo pensiero e azione.
    il piccolo vecchietto occhialuto chiamato Gandhi, ha semplificato la questione con la frase “siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”.
    ecco perchè è così difficile cambiarlo.
    Perchè è difficile cambiare quel piccolo mondo che noi siamo.

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