MarizaNel vagabondare di Lisbona, capita spessissimo di imbattersi nei personaggi più importanti del fado, artiste che mantengono nei rapporti con le persone la loro qualità migliore: l’umiltà. Così mi è apparsa Mariza la volta che ci siamo seduti accanto a un tavolo del Senhor Vinho, la casa di fado di rua Meio a Lapa dove lei aveva spesso cantato. Era tornata per salutare e ascoltare il suo mentore, Jorge Fernando, violista che cattura con la simpatia e la bravura e che soprattutto odora i nuovi talenti.

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La vicinanza con Amalia, della quale è stato giovane chitarrista sia in tournée sia in sala di registrazione, ha dato a Jorge molto carisma e capacità di giudizio, ma soprattutto una passione talmente smisurata che vive la sua vita non per il proprio successo (suona nelle case di fado e senza quelle non avrebbe ragione di andare avanti, anche se potrebbe permettersi di girare il mondo accompagnando le varie cantanti), ma per fare sì che il fado sia sempre più amato, da portoghesi e non.

Mariza quella sera scherzò un po’, salutò, ringraziò ancora per quella “Chuva” che batte forte sul nostro cuore. Non sarà l’ultima a dovere ringraziare Jorge, non sarà l’ultima a uscire così forte (come ha fatto anche Ana Moura) dalla sua “scuola”, pur se, ed è vero, il fado non si impara, lo si ha dentro, per forza. Ma talvolta è giusto usare il verbo “studiare” anche per indicare che questo studio non è in un’aula, ma per strada, nell’aria, a ogni incontro. C’è un’altra grande bella voce giovane che va amata per come interpreta la musica popolare portoghese. E’ Raquel Tavares. Venuta fuori nella “Grande noite”, Raquel ha una postura classica e maramaldeggiante, domina il palco o la sala con l’ineffabile sguardo di chi sa che sta per provocare emozioni, smuovere sentimenti, osare avvicinare l’empireo. Continuerà a soddisfare gli appassionati, i puristi, pur non dimenticando, graze alla sua età, che può rivolgersi proprio ai più giovani per ricordare che cosa vuole dire la tradizione, le proprie origini. Ebbi anche occasione di sentirla in un locale per ragazzi, lo Speak Easy di Gil do Carmo, figlio del grande Carlos, in una serata in cui finalmente il fado aveva preso il posto del rock.

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Segnatevi da qualche parte questo nome: Fabia Rebordao, e non solo perché Rebordao si chiamava la regina incontrastata e incontrastabile del fado, Amalia da Piedade Rebordao Rodrigues, a cui la lega una discendenza abbastanza vicina, ma soprattutto perché la ragazza ha una grande voce e anche lei è sotto l’ala protettrice di Jorge che se l’è portata al Bacalhau do Molho, attualmente una delle case simbolo del fado, dove Mick Jagger ha scoperto Ana Moura e l’ha subito invitata a cantare con i Rolling Stgiones allo stadio di Alvalade. Fabia è potente, attenta, vuole crescere e lasciare un segno e ne ha tutte le qualità.

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Per tutte queste, e altre, giovani che mantengono alto il nome del fado a Lisbona e non solo, la chioccia è Celeste, la sorella di Amalia. Fu lei a cantare nel decennale della morte della divina, è lei a prendere per mano queste e altre ragazze che si avventurano nel mondo del fado. Celeste è una zia e un’amica anche per me, grazie a lei ho saputo tante cose che le cronache non raccontano; grazie a lei ho chiuso gli occhi e sognato di ascoltare Amalia, dal vivo, grazie a lei ho lanciato tanti baci al cielo nella casa portoghese. Con una maestra così, di vita e di professionalità, possiamo stare tutti tranquilli. Noi ascoltatori e le giovani voci che possono seguirla e amarla.

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Ps: che cosa significa per me “studiare il fado” l’ho spiegato poco sopra e così rispondo a qualche appunto che mi è stato fatto; che si dica lisboeta sono il primo a saperlo perché ho sempre scritto così fino a quando una docente universitaria di portoghese alla quale mi devo inchinare mi ha detto che potevo benissimo italianizzare la parola in lisbonese, e quindi Sophia, la mia censora, spero sia contenta di questo. E’ vero, non esiste un fado italiano, ma un fado cantato da italiani e che diventa per questo “italiano” se appuriamo che chi lo interpreta ne prende le suggestioni e le rappresenta in sé, sennò anche il rock non può essere italiano, visto che è nato da tutt’altra parte. Sulla parola “portuguese” faccio ammenda: la mia vista mi ha fatto consumare un omicidio linguistico che è figlio di un grave freuso, ma avendo parlato tante volte dalla “guitarra portuguesa” posso dire di saperlo e di correggere meglio la prossima volta. Grazie.

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