L'uccisione di Bin LadenGentilissimo sig. Pereira,
d’accordo: la morte di Bin-Laden non è una morte che ci fa disperare. Ma nemmeno per la quale fare festa come fosse una vittoria alla finale del super-bowl.

Un altro miserabile “principe del terrore” è stato eliminato dai sicari dell’Impero. Un boss della violenza la cui famiglia si arricchì negli affari (diretti e/o indiretti) con l’Impero e che fu armato (direttamente e/o indirettamente) dall’Impero quando le sue azioni assassine erano utili all’Impero. Un fanatico, ricchissimo, caporione di mezza tacca che deve la sua fama planetaria ad una azione, probabilmente andata oltre alle sue aspettative, in cui morirono quasi 3.000 cittadini della capitale dell’Impero.

Chi conosce, invece, i nomi di tutti qui signori della guerra responsabili della morte di decine di migliaia di esseri umani nei conflitti dimenticati nelle “insignificanti” periferie del mondo?
E ancora, secondo i dati UNICEF, ogni giorno muoiono 22.000 bambini. 22.000 morti quotidiane senza alcun responsabile? Dove sono le squadre di assalto, le “teste di cuoio”, che vadano a stanare speculatori, trafficanti, banchieri, ecc. che con le loro violente operazioni finanziarie provocano questa ed altre stragi giornaliere?

Ora, nell’ambito di un’ ennesima “guerra umanitaria”, lo stesso Impero sta cercando di uccidere il satrapo Gheddafi “colpevole”, più che delle stragi (assolutamente vere e drammatiche) dei suoi concittadini dissidenti, di sedere su un oceano di petrolio nascosto sotto la sabbia dei suoi deserti (come, per altro, prima di lui, Saddam Hussein). Se così non fosse, perché non sembra esservi (come lei stesso ha fatto notare) altrettanta urgenza nel “difendere” i cittadini oppressi e uccisi dai soldati di Bashar al-Asad nella non lontanissima Siria?

La violenza, sig. Pereira, è nella natura della vita stessa. Tra gli animali, attraverso le lotte per il possesso di un territorio e/o negli scontri per l’accoppiamento, la violenza (che è sempre intra-specie, essendo quella verso le altre specie semplice mezzo per procurasi il cibo) seleziona il patrimonio genetico (individuale e di gruppo) più forte ed adattivo. Nella storia dell’uomo la violenza, come affermava Marx, è la grande levatrice che fa nascere una società nuova dal grembo della vecchia. Non vi è alcuna compiacenza in questa affermazione. E’ la semplice constatazione di come in ogni contratto sociale vi sia racchiusa una forma “compressa” di violenza (nelle disuguaglianze sociali, giuridiche ed economiche; nella sottomissione degli individui al potere delle Stato; ecc.) che, di norma, si “libera” nelle fasi di grandi cambiamenti, laddove il potere costituito si scontra con un nuovo potere costituente.

Siamo in una di queste fasi, sig. Pereira? Penso di sì.
Ricorda, mio gentile amico, come dopo il 1989 (dopo la caduta del Muro di Berlino) gli entusiasti apologeti del libero mercato e del pensiero unico (che buffa contraddizione, non trova?) proclamassero la “fine della storia”?
Sostenevano che, essendo venuta meno la dialettica tra comunismo e capitalismo, ogni conflitto fosse risolto con il trionfo incontrastato del sistema basato sul capitalismo di mercato.

Ebbene, la storia si è rimessa in moto ad una velocità tale che noi, passeggeri su questo treno in corsa, non riusciamo a distinguere il panorama al di fuori dei nostri finestrini.
Dentro il nostro mondo, nelle comode carrozze in cui ci siamo sistemati, cominciamo a sentire gli scossoni prodotti da questa accelerazione, ma ormai non capiamo più se essa ci porterà ad una meta o semplicemente verso lo schianto.
Per questo motivo tiriamo un sospiro di sollievo ogni volta che si compie un’azione (l’invasione di uno Stato-canaglia o l’uccisione di un uomo-canaglia) che sembra ricondurre un po’ d’ordine (l’ordine costituito) nella confusione crescente in cui ci sentiamo immersi.
No, non mi spaventa l’uccisione di un assassino (sebbene con la mia storia personale, qualcosa da dire in proposito l’avrei); ma questo bisogno di ordine, sì. Esso è sempre premessa della ricerca dell’uomo forte, prologo di ogni forma di fascismo. Altro che trionfo della democrazia!

Se la violenza è nella natura, la civiltà è il dominio dell’uomo sulla natura, anche sulla propria natura violenta. Ogni volta in cui il mondo “democratico” è costretto -ancorché inevitabilmente- al ricorso alla violenza, è una sconfitta della democrazia stessa. Qualcosa di cui chiedere scusa alle vittime e al mondo e a cui, seppur a posteriori, cercare di riparare. Non certamente un evento da festeggiare con manifestazioni di giubilo in piazza, né con compiaciute dichiarazioni di vittoria.
Perché, caro amico, giova ricordarlo, un assassinio non è un goal (nemmeno quello di un assassino).

Il suo affezionatissimo
Norman Bates

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