Ande: La Paz
Credo che d’ora in poi non dovrò più preoccuparmi di salire troppe scale, sono già ad un passo dall’assideramento.
A pochi chilometri da La Paz la cordigliera si sdoppia dando vita a due sorelle: una rientra verso est, verso il cuore della Bolivia, l’altra scende ad ovest passando per il Cile. Nel mezzo resta un desolato altopiano circondato da picchi esagerati.
Osservando la cartina me lo immagino come la cima di una torre contornata da merletti, ma subito mi rendo conto che non ha senso sprecare immaginazione ora, ce l’ho sotto i piedi. Riesco a vedere l’orizzonte.

Il paesaggio si è fatto brullo, aspro. Tutto è cambiato radicalmente in una mattinata. Sono arrivato in cima.
Nessuna foresta osa più aggrapparsi a ripidi pendii e le belle viste panoramiche a cui mi ero abituato sono già un ricordo.
Sono su un tavoliere che per ottocento chilometri non scenderà mai sotto i 3000 metri.

Qualsiasi cosa quassù in cima è quotidianamente presa a schiaffi da venti gelidi provenienti dalla Patagonia. Il sole non da tregua a nessuno ma basta una semplice nuvola per celarne i raggi e dimezzare le temperature in un istante.
Impronte di dinosauri, grotte di calcare, rovine Aymara, laghi salati, argilla, costumi, cactus, Quechua, patate.
Tutto mi si accavalla in mente. Sono un bambino in sala giochi, gettoni illimitati.
Non so davvero da dove iniziare. Forse sarebbe meglio dalle patate.
Andando sulle Ande

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