1apertura

Una gigantesca pizza margherita, completamente ricoperta di maionese, mi racconta tutta la sua vita: infanzia, adolescenza, presente e presupposti per il futuro. Nell’osservarla mentre narra la sua storia provo degli istinti omicidi. Poi suona la sveglia. In breve tempo comprendo che un avocado, per quanto grasso sia, non è sufficiente per sostituire una cena.
Sono a pezzi.
Considero l’idea di prendere una settimana di ferie. Poi mi rendo conto di chi sono, dove sono e perché. I venti chilometri di ieri hanno letteralmente devastato il mio corpo, ma la giornata si preannuncia esageratamente intensa e l’adrenalina mi suggerisce di rinviare a domani il giudizio sulle mie condizioni fisiche. Sono le tre di mattina, ma non penso di essermi svegliato troppo presto: voglio tagliare il traguardo per primo. Salirò a piedi fino alla vetta della montagna che ho di fronte, superando i terribili terrazzamenti Inca previsti lungo il cammino. Secondo le varie testimonianze raccolte dovrei cavarmela in appena un paio d’ore.

2salita

Il primo pullman di turisti partirà per il santuario alle sei di mattina circa e non posso permettermi di farmi superare da centinaia di esseri addobbati con cappellini e macchine fotografiche. Fuori è notte fonda, silenzio totale. Mi sistemo la torcia in fronte e mi metto in marcia. Passo dopo passo mi rendo conto che le forze mi abbandonano gradualmente e le centenarie scalinate Inca, costituite da giganti massi, diventano un ostacolo sempre più difficile da superare nella già ostile foresta che mi circonda. Calzamaglia, giacca a vento e camicia finiscono dentro allo zaino. Ed io che pensavo fosse freddo.
Sto camminando a torso nudo, sono le quattro di mattina e mi trovo a duemilacinquecento metri sul livello del mare. Da non crederci. Anche l’acqua diventa un peso insostenibile ed in poco tempo finisce tutta sulla mia fronte. Sento delle voci in lontananza. Mi giro e noto, poco sotto di me, delle torce illuminare pezzi di foresta. Devo arrivare prima di quelle persone, chiunque esse siano. Guardo spesso in alto, talvolta sperando che presto sia tutto finito, ma cielo e montagna si fondono in un unico colore quasi a trarmi appositamente in inganno. Stremato, continuo a risalire la montagna dimenticando ogni presupposto per concentrarmi esclusivamente sulle due ore di cammino stimate in partenza. Devo continuare a camminare, è l’unica soluzione. Quando finalmente giungo a destinazione il cielo ha un altro colore. Sono le cinque di mattina circa.

3arrivo

Mi precipito all’entrata per attendere in prima fila l’apertura del sito, prevista per le ore sei. Girato l’angolo non riesco a credere ai miei occhi: conto ben sedici persone sedute davanti all’ingresso che attendono impazientemente di convalidare il biglietto. Svegliarsi alle tre non è stato sufficiente. Davanti a me ci sono svizzeri, tedeschi, norvegesi. Le scalate sono il loro forte, maledetti. La mia unica consolazione è il fatto di essere l’individuo meglio vestito. In poco tempo il piazzale si riempie di persone provenienti da tutto il mondo e, all’improvviso, si aprono le porte. Due israeliani, ignari del fatto che i biglietti (127 Nuevos Soles = 32 Euro circa) si possano acquistare esclusivamente negli uffici del palazzo del turismo di Cuzco o in quello di Aguas Calientes, sono costretti a tornare a valle. Non vorrei essere nei loro panni. Finalmente è il mio turno: timbro il biglietto numero diciassette e prenoto subito l’entrata al Wayna Picchu, in quanto sono stato informato che, per questioni di sicurezza, solo duecento persone al giorno hanno diritto di accedere alla vetta più alta del complesso. Dalla biglietteria sono circa una trentina i passi necessari per poter svoltare l’angolo ed arrivare al belvedere più famoso del mondo. L’impatto è molto forte. Un’esplosione di emozioni mi rende incapace di pensare ad altro. Mi siedo, tutto questo è mio adesso.

4MP

Avventurandomi tra le splendide rovine Inca il tempo si ferma. La mia immaginazione sostituisce le persone presenti con gli antichi abitanti di Machu Picchu. Lo so, è un po’ difficile da spiegare, ma nordamericani e nordeuropei hanno spesso cercato in tutti i modi di distruggere i momenti più belli di questo viaggio, pur non facendo niente di male. Mi precipito subito al cancelletto che consente l’ingresso a Wayna Picchu. Sono sempre più stremato ma ce la farò. La pendenza del sentiero s’impenna alla follia, è una vera e propria scalata. Dei corrimano in acciaio, sparsi qua e là, mi suggeriscono di sfruttare la forza delle braccia. Io non mi vedo da fuori, ma sono pressoché sicuro di assomigliare a qualsiasi nonna quando sale le scale per andare in soffitta. Mi fermo per riposare ben quattro volte nell’arco dell’intera scalata ma in poco più di un’ora sono in cima.

5

Mi siedo sull’orlo del precipizio. Anche perché mi rendo conto che è l’unico modo per non avere bianchi-benestanti in fronte. Ora è tutto più chiaro. Dall’alto riesco a vedere ogni singola costruzione, nonché a farmi un’idea sullo svolgimento della vita quotidiana all’interno del villaggio. Trovo un mandarino dentro allo zaino ed in poco tempo è già un ricordo. Il sole buca spesso le nuvole con i suoi raggi regalando paesaggi sovrannaturali. Penso a tante, troppe cose. Vorrei che tutte le persone che conosco siano accanto a me in questo momento. Mi alzo solo per un sopraluogo della vetta. La parte posteriore si affaccia sulla straordinaria vallata solcata dal fiume Urubamba. Riesco persino a vedere il ponte che conduce al punto di partenza dell’intera camminata.

6

La discesa è ancora più pericolosa della salita ma in poco più di mezzora sono di nuovo al cancelletto di partenza. Firmo il gigante libro degli ospiti e saluto Wayna Picchu. Chissà, forse per sempre. Giro per le stradine di Machu Picchu con il sorriso stampato in volto. Non scorderò mai questi momenti. Faccio per entrare in bagno e vengo fermato da una donna gigantesca. Mi mostra il cartello che dice “costo entrata = 1 Sol”. Vorrei spiegarle che avrebbero potuto includere il costo del bagno nel prezzo del biglietto, ma lascio perdere. Non è la classe operaia che deve essere colpita se si pretende un cambiamento. Fatto sta che il portafogli l’ho ovviamente lasciato in albergo, in bagno non posso entrare e tantomeno posso farla sopra Machu Picchu. Fantastico. Mi sdraio in un prato e cerco di fermare il tempo. Resto tra le rovine tutto il giorno. Penso a come tornare a Cuzco. Probabilmente prenderò un pullman da Santa Teresa, ma fin li arriverò a piedi: dovrò avventurarmi ancora tra le ripidissime scalinate Inca, questa volta per scendere però, e da Aguas Calientes mi aspetteranno altri ventidue chilometri di camminata. Penso quanto siano fortunate le persone che non hanno mai fumato. La giornata sta terminando, si respira un clima di pace. Poco prima di uscire mi volto per l’ultima foto.
Il resto è già storia.

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