Medioman al potere

Dio acceca coloro che vuole perdere?

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C’era una volta …
C’era una volta la gaffe.
C’era una volta Mike Bongiorno, fuoriclasse dei gaffeurs.
C’erano una volta gli:

“Ahi, ahi, ahi, signora Longari, mi è cascata proprio sull’uccello!”
“No, mi dispiace la risposta non è Paolo sesto, ma Paolo vi..”
Era, il nostro, il campione della mediocrità e, come ebbe a dire Umberto Eco nel suo celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno, poggiò il proprio successo sul fatto che “sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. […] non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi […] parla un basic italian. […] Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. […] Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo.”

In quegli anni, Elias Canetti affermava che il problema dell’uomo politico è quello di creare una distanza dall’uomo comune e, al tempo stesso, di colmare l’inevitabile separazione che si viene a creare .
Era l’epoca in cui si pensava che chiunque parlasse da una tribuna, da un palco, da un pulpito, “ne sapesse”. L’epoca in cui si presupponeva (anzi forse si pretendeva) che il parroco avesse letto qualcosa di Sant’Agostino (il seminario era un posto dove si studiava), che Togliatti o Berlinguer avessero almeno sfogliato Marx e Hegel, che De Gasperi e Andreotti conoscessero non solo per sentito dire Montesquieu e Kant e così via.
Degli avversari politici si contestavano le idee, non la mancanza (o la troppa) cultura.

Gli eroi di Lascia o raddoppia e di Rischiatutto erano straordinari concorrenti con una memoria inossidabile e un patrimonio di nozioni esorbitante. Lo spettatore si poteva identificare solamente con l’incolto presentatore.

C’era una volta … ma non c’è più.

Venne la televisione berlusconiana e i quiz con domande alla portata di tutti. Dai nostri divani abbiamo potuto sentirci sapienti.
Venne Berlusconi in politica: il discorso semplificato, lo slogan ripetuto, la barzelletta come comunicazione “pubblica”, l’ostentazione del proprio comportamento trasgressivo, l’atteggiamento da tombeur de femme sfacciatamente esibito.

Poco prima di lui, Bossi aveva già stravolto lo schema. Con una energia quasi animale aveva rovesciato il tavolo su cui si giocava la dialettica politica. Cappi esibiti in parlamento, linguaggio triviale, dito medio in faccia a chiunque, “celodurismo” e la “canotta” come messaggio: il leader politico non crea una distanza dal “suo popolo” ma la annulla, è un tutt’uno con esso e con il suo animo più rozzo e retrivo.
Basta con i “professoroni”, la cafoneria al potere.

Bossi perfeziona ed estende in politica la “riduzione del superman all’everyman” iniziata più di trent’anni prima da Mike Bongiorno.

Su quel solco si inserirà la teoria de “l’uno vale uno” e gli ambiziosi giovanotti “fancazzisti” (come ebbe a definirsi un giovane Matteo Salvini concorrente proprio in un quiz televisivo) catapultati alla guida di importanti ministeri.

A questo punto la gaffe, il grossolano errore grammaticale e sintattico, la palese ignoranza, perfino l’insulto volgare smettono di essere per il “pubblico” difetti ma diventano i segni tangibili della “autenticità” dell’uomo politico, del suo essere diverso dagli intellettuali schizzinosi che si scandalizzano per un congiuntivo sbagliato o per una consecutio temporum non propriamente lineare.

Salvini raccoglie questa bandiera, toglie di mezzo la limitazione territoriale (il Nord) e porta all’esasperazione l’arte di mimetizzarsi con il “popolo” (negli abiti, nell’alimentazione, nella vita privata, nei gusti cinematografici o musicali). E come il suo predecessore spara sfondoni, si esibisce in giravolte di opinioni, fa della arroganza, della aggressività verbale e della volgarità la cifra del proprio discorso politico.

Ma noi Italiani, con la nostra cultura, con le nostre cento città d’arte, con il mare e le montagne racchiuse in un fazzoletto di terra, siamo pur sempre un piccolo Paese.
Per fare le cose in grande ci vogliono gli americani.
E, infatti, loro hanno Donald Trump … e ho detto tutto!
Ubriacato, come il nostro ex ministro dell’interno, dalla comunicazione social egli ha fatto della cafoneria e della gaffe politica un monumento degno del Monte Rushmore.

La “grandezza” di Trump sta nel suo mix, tutto americano, del superman miliardario e presidente della nazione più potente e con l’everyman rozzo e ignorante. Come scrisse Eco di Bongiorno, egli “Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. […] In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.”
E, come ogni leader (populista) della mediocrità, completa il proprio messaggio: se non capite i problemi, se vi sembra che tutto sia troppo complicato, se vi danno spiegazioni che non comprendete, è colpa degli intellettuali, di chi vi vuole complicare le cose. E se per caso la realtà dovesse essere davvero troppo complessa, al tanto peggio per la realtà!

Ma forse a tutto c’è un limite.
Il “popolo” sa che per curare una malattia ci vogliono studio, competenza, cultura.
E così l’ultima (al momento) boiata sparata a bruciapelo (la domanda, durante una conferenza stampa, se fosse possibile curare un malato di Covid-19 iniettandogli del disinfettante) sembra a livello di quella attribuita a Maria Antonietta («Se non hanno più pane, che mangino brioche»).

Non auguriamo a Trump lo stesso acefalo destino, ma forse è vero che Dio acceca coloro che vuole perdere.

2 Commenti

  1. Nella bella carrellata di gaffeur che ci è stata offerta dal nostro Norman Bates, non può non essere citato il campione contemporaneo della gaffe e che ahimé! è da tempo a capo del primo partito italiano che siede in parlamento. Mi riferisco naturalmente all’On. Di Maio, che ritiene che la Russia sia un paese del Mediterraneo o che Pinochet sia stato il dittatore del Venezuela, piuttosto che Matera sia una città della Puglia. Non solo, ma che la democrazia francese sia addirittura millenaria. Per non parlare della severa “congiuntivite” cronica di cui è affetto il nostro logobulimico Ministro degli Esteri. È uno stile, il suo, ostentato congiuntamente ai colleghi, quale segno di vicinanza alla rappresentazione e considerazione che  hanno del “popolo”. Qualcuno ci salverà da piano inclinato dell’ostentazione dell’ignoranza? Io che non sono superstizioso, anche perchè esserlo porta sfortuna, tengo sulla mia scrivania un oggetto apotropaico, che naturalmente non rivelo, nella speranza di allontare gli influssi malefici dell’ignoranza, con l’auspicio che ritorni quel minimo senso del pudore verso la conoscenza, che non può non essere considerata quale inalienabile diritto, senza il quale non può esistere libertà.
    Adam

  2. Essere orgogliosi di essere ignoranti è pericoloso per se e per gli altri. Penso agli ignoranti che non hanno fatto neppure la fatica di informarsi sull’uso della mascherina trasformandosi in pericoli ambulanti per amici, parenti e sconosciuti. #pericolosiuntori

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