Nei giorni scorsi ho cercato di informarmi sulla condizione della Grecia, forse per non deprimermi pensando a quella del nostro Paese (in questo momento lo spoglio delle elezioni politiche non aiuta a pensare con ottimismo). Ho letto di tutto, su blog e siti d’informazione – non ufficiali – italiani ma soprattutto stranieri. Di rivolte, sommosse, rapine nei supermercati. Ho letto della protesta portata avanti da 150 imprenditori agricoli e produttori di agrumi che si sono rifiutati di distruggere, come imposto dall’Unione Europea, tonnellate di arance e limoni (per stabilire il prezzo massimo di vendita) e, al contrario, hanno scelto liberamente di distribuirle nelle piazze alla popolazione affamata e disperata. Ho letto anche una notizia da pelle d’oca, per quanto non sia così lontana ed estranea ad usi e costumi noti e meno noti della nostra Italia: Amnesty International ha sollecitato le autorità greche ad indagare sulle denunce di tortura di quattro ragazzi arrestati il 1° febbraio perché sospettati di aver partecipato alla rapina di una banca nel nord della Grecia. Secondo medici, familiari, e secondo gli stessi arrestati, la polizia li avrebbe picchiati violentemente, per poi “nascondere” le ferite nelle fotografie diffuse attraverso dei ritocchi grafici, per di più sommari e approssimativi.
Si sa, la verità è un privilegio per pochi e sguazzare nell’universo internet, per quanto sia bello e spesso fruttuoso, non aiuta sempre ad ottenere risposte. Di certo le risposte dovrà darle la Grecia a tutti quei cittadini che non riescono più ad andare avanti. Non sono soli in Europa e di certo non lo sono nel mondo, ma pensare che la culla della civiltà, che un Paese così vicino e simile al nostro sia alla deriva, non rincuora.
E in tutto questo contesto si sentono opinioni, si leggono sondaggi, si ascoltano voci di corridoio sul crollo delle prenotazioni per le vacanze in Grecia. E neanche il turismo potrà salvarli, pare. Le previsioni sono negative, i turisti dichiarano che, se le cose stanno così come si legge e si immagina, la Grecia e le sue isole non saranno una delle mete preferite per l’estate 2013. E questo è il passaggio che mi sfugge. Qui non stiamo parlando di guerra, ma di una crisi devastante che dovrebbe spingere almeno noi italiani a dare una mano ad una terra meravigliosa, continuando a sceglierla per i brevi momenti di vacanza che ancora possiamo concederci, nell’ottica di un “buon rapporto di vicinato” che non costa sacrifici, ma prevede un minimo di buon senso e altruismo.
Ho capito però che è inutile porsi domande e cercare una risposta ad alcune scellerate dinamiche. Perché ciò che spaventa più di tutto è la povertà, è vedere qualcuno che arranca per sopravvivere, è assistere alla disperazione, è leggere la fame negli occhi dei bambini. Entrare in contatto (o anche solo pensare di farlo) con chi si trova in condizioni peggiori delle nostre è destabilizzante. Significa spogliarsi della propria armatura e cambiare pensieri e azioni. E figuriamoci se qualcuno vuole rovinarsi una vacanza per mettere alla prova il proprio spirito di solidarietà. Continuiamo a vivere nel nostro microcosmo credendoci inattaccabili, scansiamo tristezza e cattive notizie. Del resto, rischiare di dover scendere in strada e respirare povertà equivale ad immaginarsi in quelle condizioni. E immaginarci poveri domani potrebbe rendere amaro il boccone di oggi.