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E’ questo, dunque, il “nuovo”?

Il cambiamento da tanto, e da tanti, invocato, ha l’aspetto di una ingiallita foto di classe.
C’è la Lombardi, 12e690c4b835c0a9981d15cd1844af51_XLla secchiona del primo banco, quella che non passava mai la versione di latino e si divertiva a farti sentire scemo  quando facevi scena muta all’interrogazione di storia.

C’è Crimi, imageslo sfigato cicciotello che nessuno voleva in squadra quando si giocava a basket. Poi c’è lui, Grillo, il ripetente, quello dell’ultimo banco, il buffone della classe che faceva le puzzette durante la lezione di filosofia, quello dal lessico limitato e dal turpiloquio straboccante. Quello che ti pigliava sempre per il culo costringendoti a ridere a denti stretti anche se dentro avevi voglia di piangere e ti sentivi morire.Unknown Quello che diventava una iena e ti trattava con disprezzo se provavi a fare una battuta su di lui. Quello che se ne fregava di tutto, che non rispettava le regole, ma nessuno l’ha mai punito. Quello che, poi hai saputo, ha fatto i soldi -ma tanti- in quelle istituzioni che tanto sembrava disprezzare.

Guarda! Sullo sfondo, seminascosto, c’è anche quell’altro, il Casaleggio.images Quello capellone, un po hippy, un po’ punk, un po’ dark. Quello che a scuola non lo si vedeva mai, sapeva tutto sui gruppi rock, dal progressive al heavy metal, grande appassionato di horror e di cibernetica (quando tu ancora non sapevi nemmeno cosa fosse).

E ci sono tutti gli altri, quelli con la faccia da bravi ragazzi, la “gente” normale: quello che ha fatto il master alla LUISS e quello che ha smesso gli studi subito dopo la maturità; quella che si è impegnata nel volontariato e quella che ha fatto carriera nell’azienda di papà.images

Ma c’è qualcosa che stride in questa foto.
Perché quei “compagni di classe” non ci sembrano tra loro coetanei (e non si tratta del dato anagrafico)?
Il “nuovo” è, per definizione, giovane (e, ancora una volta, non si parla dell’anagrafe), mentre in questa foto già compaiono i padri, i figli e i figliastri.

Anzi, compaiono: IL PADRE, padrone perfino della foto stessa(proprietario del marchio su cui campeggia il suo nome: la premiata ditta “BEPPE GRILLO & FIGLI”); I FIGLI e LO SPIRITO SANTO, Casaleggio, il “soffio” divino che di un refolo ha la stessa impalpabilità eppure è vitale come il respiro.

In questa mistica, troviamo, però, un ben strano padre.

Scrive Massimo Recalcati: “Il padre di questo movimento non rappresenta … la provenienza, la radice, la memoria, l’istituzione… si propone come senza storia, senza memoria, senza provenienza, senza un volto politicamente riconoscibile, mascherato, radicalmente post-ideologico… Il rifiuto del confronto con gli altri è una cifra essenziale di questa posizione che si propone come sorretta da un ideale di incontaminazione.
La dialettica democratica lascia allora il posto all’insulto dell’Altro che si mescola, come spesso accade in ogni fondamentalismo, con un fantasma di purezza: da una parte i puri, i redentori, dall’altra gli impuri, gli indegni. Di qui la sua forza anarchica e sovversiva e il potere straordinario di aggregazione di fronte ad un mondo politico drammaticamente corrotto e incapace di rinnovarsi dall’interno. … Ma che padre è quello che si manifesta attraverso l’insulto? Si tratta di un padre che non ricalca più in alcun modo il modello edipico del Padre come simbolo della Legge. Si tratta di un padre-adolescente, di un padre-ragazzo, che parla, si esprime e si veste come fanno i suoi figli. Si tratta di un padre che rivela sintomaticamente quella alterazione profonda della differenza generazionale che è un grande tema, anche psicopatologico, del nostro tempo. Nondimeno … è un padre che non vuole rinunciare ad esercitare il suo diritto assoluto di proprietà sui suoi figli. Si provi a mettere questo padre di fronte alla critica o al dissenso e si vedrà in che cosa consiste la sua pasta. Dietro ogni leader totalitario che reclamala democrazia si cela una insofferenza congenita verso il tempo lungo della mediazione che la pratica della democrazia impone.”

Massimo Recalcati
Massimo Recalcati

E’ giunta  l’ora, perciò, che quei “ragazzi” escano dalla foto di classe, che si mettano in moto e agiscano da adulti nel mondo adulto. Il movimento è giovane, forse troppo, ma i tempi stringono e costringono. Forse si perderà qualcosa in termini di voti: difficile che chi si riconosceva nella Lega o nel PdL o nella Destra sia pronto a sostenere le stesse iniziative di chi manifesta un credo anticapitalista e ambientalista.IMG Si perderà in compattezza nel momento in cui occorrerà scegliere da che parte stare e non ci si potrà più nascondere dietro le bordate di insulti, le prese in giro, i rifiuti aprioristici e i richiami alla propria diversità. Si perderà in “purezza” quando si dovrà fare i conti con i rapporti di forza e con una società le cui complessità non si lasceranno mai riassumere in un mitico 100%, ma dovranno perennemente essere ricomposte in una mediazione dinamica e mutevole.Si perderà … per vincere. O, almeno, per provare a vincere la scommessa che questo nostro Paese sia ancora riformabile (e salvabile).

Se perdiamo anche questa … anch’io vogio tornar picinin!!

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6 Commenti

  1. Non siate così dure col M5S, che oggi, a 40 e passa giorni dalla sua vittoria, è pure riuscito a fare la sua prima proposta di legge. Sul matrimonio gay.
    E le coppette antimestruali ? attendiamo con ansia una proposta di legge anche su quello.

  2. Senza

    Senza capo del Governo, senza Papa. La fotografia di questo inizio anno ci consegna due Stati, due corpi sociali, in preda a movimenti interni che ne determineranno la futura strada.
    La proliferazione di liste e micro aggregazioni che cercano un posto in Parlamento grazie alla modalità dell’apparentamento, indicano che non esiste più il capopolo, mutato in capobranco. O, per meglio dire, il capo claque di un pubblico preselezionato tra i propri ammiratori, eletto a platea unica di riferimento, sprezzante del fatto che ne esistano altre. La metafora del capo caduto da cavallo di cui parla S. Freud in ‘Psicologia delle masse analisi dell’Io’ è ormai antistorica in quanto il mutamento dell’ordine simbolico di questo secolo ha creato uno stato delle cose in cui il capo, strutturalmente, manca.
    La sella è vuota sin dalla partenza del cavallo, occupata di volta in volta da piccoli capetti, autoreferenti e tuonanti, in cerca di non già del comando sull’intero esercito o sulle masse, quanto piuttosto su alcune brigate particolari.
    L’epoca del ‘narcisisimo territoriale’ è segnata da un populismo locale, assai più intriso di perversione che non legato all’istrionismo. Il leader autofabbricato si contraddistingue per una marcata allergia alle regole, che vuole tuttavia ferree per gli altri. Inadatto ai regolamenti, incline al capriccio personale e sempre in cerca di adepti graditi da arruolare, al momento del redde rationem con la Legge non sceglie la sottomissione e l’inquadramento, preferendo fuggire altrove per garantirsi un ingiudicabilità nel tempo, per poi dedicarsi a ricreare nuovi gruppi con adepti che passino il vaglio della sua adorazione, ial posto di quello che era un giuramento in nome della legge, riservando per sè la carica di capo autoincoronato per acclamazione preselezionata, dalla quale impartire il proprio desiderio come legge.
    Nella ricerca dell’elettorato il nuovo leader, che ama una Legge solo se sottomessa alle sua pruderie, è dunque ben lontano dallo statista del secolo passato, che aveva magari qualche pecca nel privato, ma era interamente dedito a promulgare Leggi per il bene comune, vestendo l’abito di padre della Nazione.
    Egli si sintonizza con i bisogni personali dell’uno per uno, ponendosi come risolutore del problema del singolo, domandando in cambio un sostegno al proprio interesse.
    Non è dunque la Legge eguale per tutti, della quale lo statista del tempo passato si poneva come tramite, ma quella del ‘mio orto’in cambio del tuo.’
    Non è un caso che molti di questi leader utilizzino nel loro vocabolario elettorale adagi quali ‘ se voi mi darete, io faro per voi’. Quando il voi è riferito ad una categoria, una corporazione, più suscettibile di essere solleticata nella pancia.
    Più che di democrazia malata è più giusto parlare di perversione diffusa nelle crepe dell’edificio democratico, con l’autorità ormai nebulizzata che lascia il posto ai tanti piccoli califfati.
    Questa situazione è una diretta conseguenza dell’inaridimento delle fonti, del tramonto dei punti di riferimento originari, i grandi campi contrapposti del novecento, che hanno lasciato il posto ai neo personalisimi del narciso, dando forma alla prima campagna elettorale centrata sul ‘mi piace’.
    SI tratta di un inabissamento della legge e dell’Altro in nome del quale un tempo ci si intruppava, in favore di piccoli satrapi emanatori della loro personale legge, intenti a circoscrivere il loro in contrapposizione all’altrui, in una logica paranoica ben più feroce e settaria che non ai tempi della contrapposizione DC Pci del dopo guerra. C’è un parallelismo tra i due posti vuoti di questo inizio anno, quello governativo e quello venutosi a creare in Vaticano dopo l’addio del Pontefice. Senza premier, senza Papa. Due posti vacanti che scoperchiano il vaso di pandora delle pulsioni sottostanti, come un soggetto che ha fatto del padre l’insostituibile. La verità, in entrambi i casi, è che il padre appare solo un figurante al quale si affittano e si delegano i costumi morali, troppo difficili da indossare perché stretti. Il capo del Governo assumerà quelle parvenze di capofamiglia investito di una delega formale che permetta a tutte le pulsioni di continuare a fluire in maniera incontrollata. La devastazione portata dai nuovi movimenti ha semplicemente decapitato un padre già morto, una figura che non aveva alcuna funzione se non quella di far credere che la sua funzione ‘regolatrice’ fosse attiva. Anche in Vaticano le correnti contrapposte hanno da incaricare un pontefice che permetta loro , custodendo i paramenti e assolvendo alla funzione di Vicario di Cristo, di continuare a fluire in un interrotto godimento. L’italiano si sente rappresentato meglio da un custode a tempo di poche regole deboli, indulgente verso le sue più antiche forme di vizio e di aggiramento della legge ( la perversione, appunto).
    Il no di Papa Ratzinger e la lenta consunzione di Giovanni Paolo II hanno come punto centrale il soglio pontificio. La ‘funzione’ di Vicario di Cristo. Un elemento significante in nome del quale essi hanno annullato la loro soggettività. Il primo lasciandosi consumare sul soglio, convinto che il servigio che l’individuo da alla funzione comporti anche l’estremo sacrificio del corpo. Il secondo eliminando ogni propria velleità di regno temporale, scegliendo di nullificarsi non nel corpo, come nel primo caso, ma nella persona, pur di impedire che il soglio venisse sporcato con faccende troppo umane. Siamo in una prospettiva antimoderna. E’ infatti frequente assistere al fenomeno opposto, nel quale la funzione viene asservita all’individuo sino a svilirla. Le cariche ‘politiche’ o manageriali, vengono occupate da narcisismi in preda a godimenti bulimici di ricchezza, fama e successo, che utilizzano la funzione per asservirla ai loro bassi istinti. Il caso dei consiglieri sorpresi a dilapidare denaro pubblico, è la fotografia attuale di quanto sia fuori moda immolarsi per una funzione. La figura stessa dello psicoanalista, che si incarna nella funzione a patto di mortificarsi e rendersi assente, è oggi fuori moda. Sostituito da figure assai secolarizzate, ipertrofiche e sempre più ben inserite nella logica di mercato, finto avversario col quale si va a patti, dedite al culto del proprio pensiero emanato come verbo. E come tale, in giudicabile in una prospettiva dialettica.

  3. Anche il mondo analitico dice sulla modalità di raggruppare.
    Perchè sono sempre più soggetti all’accusa di tramutarsi in ‘guru’ in cerca di adepti da irregimentare? Non passa giorno che voce non si unisca al coro di attacchi alla disciplina di Freud e ai suoi attuali nipoti. Non tanto all’analisi tout court, quanto alla cattiva psicoanalisi, per molti due cose sovrapponibili. Oltre al j’accuse di M. Onfray ‘Crepuscolo di un ‘idolo’, ci sono i pamphlet dell’intellighenzia europea ed italiana: il feroce e sbilanciato ‘Libro nero della Psicoanalisi’, ‘Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi’, il godibile ’Alice nel paese degli analisti’, per finire con l’ottimo ‘Al di là delle intenzioni’ di Luigi Zoja.

    Ma se ben guardiamo la blog sfera ( a tutti gli effetti il fronte delle voci più libere) la schiera dei detrattori e critici non è più solo formata da trinariciuti orgnicisti che negano tout court la validità dell’introspezione e non riconoscono lo statuto dell’inconscio, ma annovera tanti pazienti, o analizzanti, i quali possono solo accodarsi nelle innumerevoli discussioni sui forum per lagnare l’inefficacia del trattamento analitico, o denunciare errori pagati a caro prezzo. E non solo economico. Fino a quando, di fronte ad una critica sempre più vasta e sempre più articolata, si percorrerà la via del ‘non è vero nulla’, rimandando un serio dibattito, restando indifferenti a queste istanze? Perchè si deve attendere l’intervento della magistratura per toccare questi temi scomodi? Gli aspetti da esaminare non sono solo quelli relativi alla ‘efficacia’ dell’analisi, elemento di per sé già difficile da valutare (e oggetto di innumerevoli dibattiti scientifici), ma anche le possibili controindicazioni che possono derivare da un’analisi inefficace. Non tutti sanno preventivamente che un’analisi sbagliata può causare seri danni, e che in caso di un rapporto deleterio, non esistono istanze alle quali fare riferimento. Chi va su un lettino oggi, non ha precise garanzie di terzietà, di protezione da errori.

    Ecco il vulnus principale dell’instrumentum analitico. In campo medico, se un’operazione va male, il malato può rivolgersi all’azienda sanitaria, al tribunale dei diritti del malato, o altro ancora. Nel campo della psicoanalisi, se una cura si inceppa o deraglia, purtroppo, non esiste luogo nel quale portare le proprie rimostranze. L’unica speranza è che l’analista abbia a fondo scavato nelle sue zone opache, quelle che conducono a errori, e se ne assuma la responsabilità tenendo quel posto senza fuggire. Il miglior modo per difendere la psicoanalisi è dunque renderla trasparente esaltando in tal modo la sua eccellenza, che fortunatamente continua ad esistere nonostante gli errori. Un analista che sbaglia diagnosi, magari distratto da altre cose, o semplicemente con un lavoro su se stesso stagnante, espone il paziente a rischi talora altissimi. Il ‘controtransfert’ è quella risposta relazionale ed emotiva dell’analista verso il paziente, utile nel processo analitico fino a quando non diventa una pioggia di detriti che provengono dall’analista, il quale senza controlli, può scaricarli sul malcapitato paziente. Il paziente che, come insegna l’analista francese J.A Miller, è sempre ‘innocente’ quando entra nello studio con lettino. Chi non ricorda l’analista Moretti de ‘La stanza del figlio’, irritato perché il paziente Orlando con un ritardo ha fatto sì che lui non fosse vicino al figlio nel momento della disgrazia? Ecco, quella scarica di rabbia che gli riversa addosso in seduta, è un controtransfert incontrollato. Lacan tratta la questione del controtransfert : (..)Come è scritto da qualche parte, se si trascurasse quell’angolo dell’inconscio dell’analista, ne risulterebbero delle vere e proprie zone cieche, da cui conseguirebbero evetualmente nella pratica fatti più o meno gravi e incresciosi: misconoscimento, intervento mancato o inopportuno, o persino errore’. Cosa garantisce al paziente ch , accortosi di questo, l’analista immediatamente lasci quel posto e non arrechi danni? Nessuno. Quello che, specie oggi, è necessario ribadire, è cha la psicoanalsi è essenzialmente e primariamente il luogo della rettifica della propria esistenza, delle’ minchiate del vissuto’ e della ‘storia personale del soggetto’. Qualsiasi altra cosa entri nella stanza del lettino, rapporti di lavoro, scambi teorici, presenza mediatica, falsa il percorso e lo fa deragliare su binari del maestro-discepolo, via che conduce direttamente ad una condizione diadica fasulla che può avere effetti collaterali devastanti per l’analizzante. Il movimento psicoanalitico garantisce terzietà? Per esserlo, è necessario che chi apre le porte alla gentilezza sia, in questo caso, gentile, parafrasando al contrario la lezione di Brecht. E’ fondamentale che lo psicoanalista sia, al netto della conduzione della cura, inserito in una rete, più ampia, che possa osservare ed eventualmente correggere eventuali errori. Sia insomma ‘giudicabile’. Come evitare, come riporta Paracchini in un articolo del Corsera, che: ‘un ego fuori ordinanza, un eloquio coinvolgente che fa breccia nel pubblico femminile’ non siano nocivi per i pazienti, oppure non portino a creare ‘adepti che sembrano una setta’?. Il neo presidente della IPA Stefano Bolognini dà una indicazione preziosa, ma purtroppo inascoltata, asserendo che la sovraesposizione mediatica dello psicoanalista danneggia il paziente. Si dirà: questo problema vale per tutte le discipline del mondo psy. Vero, parzialmente. Non va dimenticato che l’analisi è un luogo particolare, una sorta di ‘no mans land’ nella città, uno spazio vuoto, una zona franca addobbata con gli affreschi della propria esistenza, che noi diamo in custodia all’analista. Si può paragonare il setting analitico ad un’officina nella quale, grazie ad un buon avvitatore, tutte le viti della macchina vengono allentate. Svitate quel tanto che basta perchè il guscio mostri la sua mobilità, e si possa giungere all’anima del motore. Una destrutturazione guidata. E’ la terra di un uomo che piange e rimemora il passato, un uomo che sogna e in quel luogo sa di poter proiettare le diapositive più intime perchè garantito dalla sicurezza. Ecco perchè gli errori possono avere effetti cosi’ gravi. Quando le viti sono allentate, i colpi accidentali vanno più in profondità, si riverberano sull’intera struttura. Le scuole psicoanalitiche hanno sviluppato gli anticorpi per saper contenere e correggere questi svarioni? Il mondo scentifico chiede alla psicoanalisi alcune cose che la disciplina di Freud e Lacan non può dare : verificabilità, standardizzazione dei dati,

    questo perchè la psicoanalisi è essenzialmente ‘uno per uno’. Ma garanzie verso il paziente quelle si. Oggi quelle devono essere fornite. “L’analista, dico, da qualche parte, deve pagare qualcosa per reggere la sua funzione. Paga in parola, paga con la sua persona. Infine bisogna che paghi con un giudizio sulla sua azione’ E’ il minimo che si possa esigere” . E’ rispettata questa massima di Lacan? La via indicata da questa massima mette al riparo da derive giudiziare, e garantisce un percoso più salutare per il paziente.

  4. Caro Bates, post eccellente. Pensando a lei e a quella mente sopraffina di Recalcati più che alla piattezza e volgarità del movimento di Grillo il mio pensiero va al modo becero della selezione del personale politico del Pd in questi anni. Forse se avessero coinvolto i Bates e i Recalcati negli ultimi decenni non avremmo oggi questa rivolta così disperatamente sgangherata e, io temo, priva di una educazione democratica elementare.
    Con affetto e riconoscenza

  5. Siamo stati tutti adolescenti e abbiamo criticato tanto, poi nel momento in cui siamo stati dall’altra parte abbiamo capito, in parte migliorato portando il nostro contributo per un modo diverso di fare.
    Forse ora quelli del M5S hanno capito che fra il dire e il fare c’e’ di mezzo il mare e sono un po’ disorientati. Ma come tutti noi si devono tuffare, nuotare e verranno anche loro ampiamente criticati (da chi ancora non avra’ il compito di fare).
    Mi trovo ogni tanto ad osservare come i sessantottini (ora docenti universitari alle soglie della pensione) reagiscono alle critiche dei loro studenti: pensavano di aver trovato la soluzione perfetta e invece … vengono criticati!
    Forse sono un’ingenua illusa ma credo che se ciascuno desse il meglio di se stesso -in un’ottica NON individualistica – in ogni posto in cui e’ chiamato ad essere (lavoro per chi e’ fortunato ad averlo, famiglia, societa’) le cose andrebbero meglio.
    Non abbiamo gia’ dato tutto, possiamo dare ancora di piu’ e costruire ancora e meglio se smettiamo di pensare da consumatori e agiamo da onesti cittadini. E’ vero che i nostri problemi sono tanti e gravi e proprio per questo dobbiamo affrontarli insieme anche se con ottiche diverse, ma non scordiamo che l’80% della popolazione mondiale farebbe subito a cambio con uno qualunque di noi.
    CORAGGIO ce la possiamo fare!

  6. Che dire? Mi intriga l’impressione che nell’ ultima parte del commento faccia capolino un filo di speranza (a lunga scadenza?) che al momento non capisco su che cosa si fondi. Mi viene da dire che abbiamo già dato, purtroppo e accidenti a noi. Saluti affettuosi. Giovanni

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